Il mese di novembre, da quasi vent’anni ha un fascino venatorio davvero forte, è un momento che si aspetta con trepidazione da molti mesi, potremmo dire dalla fine del novembre precedente…
La passione per l’arte venatoria, in molti di noi, accesi del sacro fuoco di Diana, trova nella caccia al capanno coi richiami vivi un fascino infinito, sensazioni uniche mentre la bellezza ed autenticità delle prede crea un clima magico in questa meravigliosa caccia, che è oggi tra le poche rimaste inalterate dal tempo.
La partenza ben prima dell’alba, la preparazione dell’auto, delle armi e munizioni, la ordinata composizione del fascio di gabbie che si utilizzeranno, e infine l’arrivo al primissimo tenue chiarore ad Oriente del nuovo giorno che nasce, sono le note di una sinfonia che non ha veramente uguali, per chi la Caccia, la vive come stile e filosofia di vita.
La fortuna di avere un appostamento fisso, i richiami, un amico con cui condividere tutto questo, è veramente un grande privilegio, purtroppo non di tutti… noi siamo molto fortunati in questo senso.
La caccia si svolge sulla dorsale appenninica tosco/romagnola, su un crinale a circa mille metri di quota, in cui la Natura è rimasta intatta e con essa le emozioni che suscita, dall’alba al tramonto; sempre e comunque, in ogni caso.
I sobbalzi del fuoristrada, i passaggi impegnativi su stradelli in cui tratti a sbalzo rocciosi si alternano a serpeggianti tratti di fango e buche, l’attraversamento di un lembo di bosco col suo tappeto di foglie secche e ricciaie di castagno, alla fine ci portano al vecchio capanno in legno, in buona parte immerso nella vegetazione e nella natura del luogo.
Un capanno tradizionale romagnolo, edificato oltre mezzo secolo fa, da uomini di altre epoche; bellissimo perché quello che vediamo oggi è oltre ad un piccolo capolavoro di costruzione manuale, il frutto di anni di lavoro sapiente ed appassionato perfezionamento dell’appostamento e della prospiciente buttata di piante, potate ed adattate alla caccia negli anni, aggiornato anno dopo anno da sempre, in continuazione, "un'opera d’arte” che oggi mostra la volontà e capacità di rendere meraviglioso, razionale, perfetto questo tempio naturale ed il suo giardino botanico.
Deposte le gabbie sulla zona centrale, in mezzo alle piante di buttata, osserviamo di nuovo e meglio Il luogo, ci colpisce e quasi commuove quanto vediamo, gli alberi, addirittura i cespugli di ginepro, sono stati curati e tramandati a noi in una struttura e bellezza perfetti, le piante d’alto fusto potate sempre per mantenere rami orizzontali e trasversalmente frontali al tiro, i cespugli, ogni essenza formata da potature ripetute per non nascondere una preda posata. È tutto bellissimo, i vari alberi sono collegati a circa altezza d'uomo, da lunghe pertiche che sono un ulteriore appoggio di buttata: le "stanghe”.
Ogni pianta ha un ampio secco alla sommità, sorretto da lunghe pertiche addossate e fissate al tronco. Il tutto compone una realtà oggi perfettamente matura, che ci induce al ringraziamento di queste anime che hanno, anno dopo anno, fatto tutto questo.
Pino tolte le gabbie dal fascio osserva gli uccelli uno ad uno, ogni volta, e riconosciuti li posiziona sulle piante cui essi sono da tempo stati assegnati; come tradizione vuole, ogni gabbia è coperta superiormente con la sua fraschetta di ginepro, abete o quercia. La tesa è fatta ed i merli iniziano a provare le prime note dell’imminente concerto.
Entriamo nel capanno e aperta la feritoia osserviamo la buttata contro la tenue luce della nuova alba.
Alla semioscurità, aiutati da una piccola lampada frontale, si preparano i fucili e le cartucce, ordinate sulla mensola sotto la lunga finestrella a feritoia da cui spareremo.
Fuori il concerto è già iniziato, il canto d’amore primaverile dei tordi e merli chiusati, si alterna al canto delle cesene ed a qualche acuto zirlo, un merlo chioccola ed un tordo schiammazza senza sosta.
Sulla mensola disponiamo: io il campionario di cartucce del piccolo calibro 36 di produzione B&P che voglio provare oggi di fatto e praticamente, e qualcuna sempre B&P F2 Classic del 16.
Come armi, ho portato i due monocanna Beretta 412 nei due calibri: 16 e 36, fucili che amo da sempre, tanto semplici quanto affascinanti … Pino ha il suo storico Monocanna Beretta calibro 20 ed un vecchio combinato 8 Flobert/410… il 36 Magnum, quindi poggia sulla mensola alcune cartucce dei tre calibri.
Un merlo di passo arriva e si posa su una querciola lontana al limite della buttata, la poca luce e le foglie lo nascondono in buona parte, il tiro è lungo, sui 35 metri, il mio compagno mi dice di usare il 16 ma io non lo vedo e gli passo il fucile, alla detonazione il merlo se ne va indenne, ha sparato ad una macchia scura che non era lui… iniziamo bene!
Mentre il concerto sale di tono e di completezza musicale, sparo ad un sassello sui 18/19 metri; per la Baschieri Extra Rossa con i suoi 15 grammi di pallini del n. 11 è un tiro facile, il fiocco cade sotto l’alberello alla nostra sinistra, ricarico il tronchino Beretta stavolta con una Low Sonic, una silenziata specifica per questa caccia, ideale, per fare un buon lavoro fino ai 18/20 metri con uno schiocco di frusta, che non è una detonazione, il vantaggio molto importante in questa caccia è che queste cartucce non allarmano eventuali prede che si stiano avvicinando, pur facendo un lavoro letale a giusta distanza.
Poiché anche Pino ha in canna nel suo combinato una cartuccia calibro 36, da lui caricata con la GP, decido di provare la cartuccina 36 più leggera, in bossolo da 50 mm. una sorta di alternativa al calibro Flobert… non passano che pochi minuti e la provo su un tordo canterino, un sassello posato su un carpino a una dozzina di metri… cade fulminato anche questo con una vistosa nuvoletta di piume.
Mentre stiamo ricordando le gesta degli anni passati, in quel capanno in tre, col nostro amico chirurgo Andrea, e le numerose cesene del passo 2016… eccole arrivare sulla buttata centrale, tre si fermano sui secchi in vetta ai quercioli… impugno il 16 io ed il 20 Pino, lui dà il “Pronto!”. Inizia la conta: -“uno, … due, il tre è la detonazione unica dei due colpi, che si uniscono all’unisono, mentre le due cesene fulminate cadono dal secco rimbalzando tra i rami delle querce di buttata principale e finiscono sul prato rasato a meno di mezzo metro una dall’altra. Non resisto e mentre ci compiacciamo della bella coppiola, dico confidenzialmente a Pino: “Guarda, devo confessarti una cosa!”. Continuo: -“Il dottore (Andrea) mi ha sempre raccomandato di sparare subito dopo il due, senza aspettare oltre!”. Pino mi guarda senza parlare, io riprendo: -“Andrea mi ha sempre detto di sparare quasi al due, più che al tre, perché… tu fai sempre così!”-.
Ci guardiamo e poi sorridiamo, il pensiero del nostro sfortunato amico, è evidente, ma io lo so che non è lontano, lo sento lì con noi, non lo vedo, ma lui c’è… e ora sorride!
La mattinata prosegue, all’aumentare della luce, non vediamo più merli e bottacci, ma arrivano altri canterini, i sasselli e altre cesene, che tuttavia già smaliziati non curano i richiami… sullo sfondo della buttata alcuni sparuti branchetti degli ultimi colombacci in ritardo passano nel cielo terso ed azzurro all’inverosimile… è tutto molto bello! E’ un sogno, su quel crinale, in quella Natura incontaminata e in un capanno vero, in legno, costruito forse 60 anni fa da un appassionato cacciatore romagnolo… facciamo il caffè sulla vecchia stufetta, lo dolcifichiamo con un goccio di sambuca e facciamo un brindisi ai nostri amici, alla caccia, ed a noi.
Mentre Pino raccoglie le gabbie, stendo le poche prede sul prato davanti al capanno e creo una scena con i fucili, da anni il numero delle prede non conta più tanto… non che disdegni un bel mazzo, ma sopra i cinque pezzi la mattinata è già da ricordare.
Penso alle cartucce provate, perfette al banco, alla placca e eccellenti a caccia, senza sorprese, dietro ad ognuna ci sono tecnici, cacciatori, meccanici capaci e moltissima passione, ancora oggi in momenti così infausti e non troppo felici. È molto bello tutto questo, come sempre mi vengono davanti agli occhi il banco prova B&P, dove esse sono nate tra Marco, Alessandro e me stesso; poi il caricamento, la macchina n. 5 dedicata ai piccoli calibri, dove Pippo De Angelis, che intonato un rosario di coloratissime imprecazioni marchigiane regola le varie stazioni, fino ad avere una cartuccia finita… sono io a raccogliere le 5-6 cartucce che Pippo mi dà e farne il collaudo in canna manometrica, piccole correzioni a volte necessarie, un paio di centigrammi sulla polvere, una piccola stretta all’orlo… e la produzione parte, con lo spirito ed il calore di ormai quasi 138 anni, Giovanna con movimenti sicuri e precisi mette nelle scatoline le 25 cartucce e crea un ennesimo cartone, un imballo da 250… e la vita continua, parallela a questa immortale passione.
Sono un privilegiato, nel vivere, nel conoscere e nel gustare ogni volta queste bellissime sensazioni, mi rendo conto che la caccia, il mio lavoro, la mia passione e la mia vita sono stati per quasi mezzo secolo una fusione perfetta... lavorare, in questa splendida Accademia della balistica e della storia delle polveri e cartucce italiane, è stato davvero un privilegio.