Sentii qualcosa di straordinario, come fosse un sogno aspettato da una vita.
Fui proprio così: ansiosa, stupita ed impaziente nell’arrivare.
Mi raggiunse la tarda sera, furono circa le 20 e 30; ed il mio sguardo lì, nei riflessi del mare; brillavano gli occhi nel chiarore della luna.
Le onde parvero agitate, smosse, quasi come se si volessero immedesimare nel mio cuore. Il mio sorriso era ormai inciso sul viso, nel sapore salato delle lacrime.
Non credetti al raggiungimento di questa meta… ormai giunta nei miei sogni da due, tre settimane.
Là c’era Renzo, un cacciatore toscano, conosciuto nel destino di questa meravigliosa passione.
Lui, così conoscendomi, volle regalarmi le sue emozioni della caccia al capanno.
Scesi dal treno, con mille borse per le braccia, e corsi in fretta verso di lui per abbracciarlo dopo tanto tempo, ne fummo felici. Stanchi ,andammo a casa per sistemare le valigie e poi a cena. Arrivati a casa, mi fece vedere nella stanzetta i suoi richiami: tordi e merli.
I volatili - mi spiegò Renzo - devono essere tutti acquistati secondo le normative statali da un allevamento autorizzato; ogni capo dev’essere inanellato alla sua caviglia per effettuarne il riconoscimento tramite un numero codice.
I maschi di tordo, idonei al richiamo, sono difficilmente riconoscibili dal sesso opposto, se non proprio dal loro canto; ma anche le femmine vengono utilizzate per il loro zirlo, che invece fa scendere gli uccelli di passo sulle buttate.
Viceversa per i merli, per il loro dimorfismo sessuale sono riconoscibili più che dalla dimensione, dal colore del loro piumaggio: il maschio tende al nero, al contrario delle femmine che si dipingono sul color marroncino.
Al loro acquisto, da parte dell’azienda viene rilasciata una ricevuta contenente i dati del cacciatore e dell’animale venduto. La scelta del capo non è affatto facile, ma assai affascinante.
Difficile è il riconoscimento del carattere del soggetto ed il suo futuro portamento in gabbia (anch’essa dev’essere a norma di legge).
I richiami anche per questo necessitano di cure e riguardo costante fra cui la scelta del mangime, degli integratori di vitamine a seconda della fase che si sta affrontando (riposo o mantenimento, muta e canto).
Le camole, basilari per le loro proteine, sono un cibo miracoloso per questi uccelli.
Un’altra componente fondamentale per la salute del soggetto è l’igiene, quindi la sua pulizia ed i controlli del becco, delle zampe e delle feci.
Per eventuali problematiche, vengono contattati veterinari specializzati in materia!
Grazie allo studio ornitologico di decenni, secoli, possiamo dire che il periodo dell’estro d’amore nei richiami viene determinato e mantenuto dal rapporto tra le ore di luce e di buio del giorno: i tordi e le cesene hanno bisogno di più ore luce per poter cantare, rispetto ai merli.
Ecco il fotoperiodo.
Per questo, per avere il canto d’amore nei mesi di caccia, si pratica la nota “chiusa estiva” e poi la “muta”.
Tutto inizia a marzo – aprile, si portano all’estro pieno gli uccelli nei tardi mesi primaverili, tramite mangimi calorici ed esposizione al sole e al caldo, quindi giunti al culmine del canto d’amore primaverile, si inverte il ciclo.
Si portano gradualmente gli uccelli al buio ed al fresco (un tempo nelle cantine) fino alla sospensione totale dell’estro amoroso.
Gli uccelli smettono di cantare.
D'ora in avanti si alimenteranno con cibi poco calorici e cercheranno il buio completo. Dopo poche settimane inizieranno “la Muta”, ovvero il cambio annuale del piumaggio con quello nuovo.
Ad inizio autunno gli uccelli si devono preparare per la stagione di caccia, quindi si riporteranno sempre gradualmente al caldo ed alla luce, si regolerà con attenzione il “fotoperiodo”.
Di fatto vengono capovolte le stagioni.
Prima merli e tordi bottacci, poi tordi sasselli e cesene, tutti in poche settimane riprenderanno a cantare ritornando in pieno estro amoroso; arriverà il canto primaverile, il loro più efficace canto di richiamo.
Questo antico metodo di fatto illude gli uccelli: essi vivono al buio una notte lunghissima di alcuni mesi e si risvegliano a settembre convinti sia ancora primavera, tornando in amore.
Con lampade apposite, regolando la proiezione delle ore di luce, è possibile mantenere l’estro amoroso per oltre un mese, a volte di più, così da avere efficaci i richiami per il periodo del passo.
Già entusiasta, mi infilai nel letto immaginandomi cosa avrei vissuto alla mattina seguente.
Addormentarmi non fu affatto facile nonostante fossi estremamente stanca, ma lo feci con il sorriso.
Nella notte furono sogni di panorami meravigliosi e grandi emozioni sempre fra una risata e l’altra con lui.
La mattina seguente mi svegliai, con un suo bacio sulla fronte: sorrisi.
Iniziammo a prepararci adagio, nel silenzio, per non svegliare le altre persone vicine.
Indossando per ultimo gli scarponi preparammo i grandi zaini per le gabbiette dei richiami e uscimmo.
Accese l’auto ed io come una bambina mi sentii felice. Caricammo Kira, la springer accompagnata anche per il suo riporto.
Partimmo, prima per la colazione e poi… finalmente per la casetta dell’entusiasmo: il capanno.
Arrivammo, dopo circa trenta minuti di auto, ed in un attimo balzai giù.
L’aria, calma e fresca nelle sue fragranze mediterranee. Ne sentii un sapore diverso, più dolce.
D’improvviso la sua voce mi tacque i pensieri che sussurravano nella mente:
“Tieni, mettiamoci la pila” mi disse Renzo, porgendomi una luce per schiarirne il sentiero.
Ed ecco così che i primi passi si inoltrarono nel viottolo.
Dopo circa cento, centocinquanta metri di cammino arrivammo nella nostra casetta.
Lì si aprì il bosco ed il cielo lì, con milioni di stelle… regnava la voce del silenzio.
Si udirono soltanto la melodia dei nostri respiri ed il cinguettìo degli uccelli.
Sul mare, invece, dominavano i piccoli diamanti regalati dai riflessi della luna; poche volte nella vita la natura mi porse uno spettacolo così.
Sentii una pace interiore mentre sistemavamo fra gli arbusti i dodici richiami sui loro appositi ganci, aggiungendo in una gabbia grossa davanti al capanno tre femmine di tordo, sistemando in ognuno di loro il mangime e l’acqua fresca.
Dopo ritornammo indietro per concludere l’assestamento del capanno.
L’appostamento era rialzato da terra di pochi centimetri ed appoggiato sopra a delle bozze di cemento con carta catramata sulla sua superficie per proteggerlo dall’umidità.
Il tetto in lamina con i suoi appositi isolatori; all’interno, invece, il piano era calpestabile, costruito con tavole da impalcatura per muratori rivestite infine da coperte di gomma (3,4 millimetri) per ridurre al massimo il rumore provocato.
Il capanno aveva tre aperture verso l’esterno: una era la porta in legno con un vetro oscurante come quello utilizzato dalle forze dell’ordine per svolgere le indagini; la seconda e la terza erano finestre. Una stretta e lunga che dava sul davanti e la seconda più piccola che dava sulla destra per aver maggior comfort e visibilità nel tiro.
L’interno delle pareti era foderato con un tappeto verde per i pavimenti.
Sotto alla prima finestra, c’era una rastrelliera per i fucili ed un mobiletto dotato di cassettiere numerate da uno a dodici, ognuna per ogni secchio di buttata, dove sarebbero andati a finire i bossoli vuoti a seconda della direzione dello sparo (soprattutto per ricordarci del carniere abbattuto al momento della sua raccolta).
Alle spalle della finestra, vi erano due armadietti per la conservazione degli utensili e delle cibarie; infine un appendi abiti per indumenti, foderi, borse o qualunque cosa si volesse appendere.
La buttata (piante di ornello potate) era composta da dodici alberi, posti a semicerchio davanti al capanno ad una distanza minima di 12 metri e massima di 22 con dei traversi di buttata subito al di sopra degli arbusti, perché ai tordi e ai merli piace mettersi più in basso: si sentono anche più al sicuro.
Gli alberi che formavano la buttata erano tutti ad un tiro utile per fucili di calibro piccolo come il 410, il 36 o il 28.
Ci sistemammo uno accanto all’altro chiarendoci le rispettive posizioni di tiro.
Si risvegliarono la natura ed il bosco allo schiarire del cielo e del mare regalandoci un dipinto di colori.
Cantarono gli uccelli, per i loro richiami nel nuovo giorno. La loro voce fu per me qualcosa di unico, puro.
Mi meravigliai della melodia del canto, osservandone il tono, ricordando così i primi momenti in cui indossai la protesi acustica.
Fu per me una nuova rinascita.
Quasi il silenzio… eccolo! Il primo tordo!
Si appoggiò sul primo albero a sinistra ed in un attimo presi il fucile caricato precedentemente, imbracciandolo.
Bastò un colpo per abbatterlo.
Riprese il cinguettio e stavolta toccava a lui il prossimo tiro. Incredula di me, l’esaltazione fu tanta e Renzo, accanto a me mi guardò con gli occhi sorridenti, ed io vedendolo ne sentii il cuore gioioso.
La luce calda illuminò appena la macchina ed io non feci altro che perdermi nelle sue sfumature più accese.
Non esistettero per me altri pensieri se non quelli di assaporare quella bellissima mattina di caccia.
Ed ecco, d’improvviso gli ultimi cinguettii assecondati dal silenzio…
Un altro tordo s’appoggiò sullo stesso ramo, gli feci subito cenno ma lui mi passò il fucile.
Un colpo bastò per numerare il secondo capo.
Sognante di questo mio secondo risultato, presa dall’esaltazione, esclamai ridendo ironicamente:
“Sparare al fermo è facile”
“Aspetta a dirlo che io è tutta la vita che caccio anche al capanno!”
Giustizia fu fatta, nei miei prossimi turni… nove tiri e cinque presi ahahaha!
Così ci prendevamo in giro, scherzando sulle padelle fatte.
Così passammo la mattina, non perdendoci però la nostra pausa caffè: caffettiera pronta, fornello a gas, biscotti Pavesini e nutella. Tutto l’essenziale non mancò.
Furono circa le undici quando decidemmo insieme di concludere questa giornata al capanno per lo scarso passaggio di uccelli migratori, ma comunque appagabile.
Immenso fu osservare Kira, la Springer nel suo lavoro di riporto.
Fu la mia prima volta, la mia prima esperienza della caccia alla piuma.
Scodinzolava all’impazzata, correndo da una parte all’altra cercando gli animali abbattuti.
Rimasi a bocca aperta quando mi consegnò fra le mani il suo primo tordo.
Con gli occhi dolci e vivaci come il suo carattere mi guardò aspettando il mio ringraziamento: coccole, baci e una crocchetta.
Ritirammo successivamente le gabbie sistemandole nei propri zaini avviandoci verso il sentiero di ritorno.
Molte varietà di colori dipinsero il panorama del sottobosco spiccando il colore dorato delle ginestre, ed io non feci altro che stamparlo nel cuore.
La giornata di silenzio venatorio la dedicammo per il riposo nella prima mattina e per la visita nei luoghi limitrofi all’agriturismo ospitale.
Renzo non cercò assolutamente di farmi perdere la Laguna di Orbetello, luogo dove lui, nelle aree consentite dedicò momenti di caccia agli acquatici, per lui, una delle cacce più affascinanti e più nobili.
Partimmo così nel primo pomeriggio verso questa meta con Kira. Premetto che non avevo mai visto e vissuto una laguna e nel viaggio non feci altro che immaginarmi come fosse.
Impaziente ed euforica di trovarmi in un luogo stupendo, mi sentii il cuore in gola e gli occhi pieni di lacrime dalla gioia.
L’auto rallentò, fummo all’ultimo bivio: Laguna di Orbetello e Monte Argentario.
Girammo, inoltrandoci in una strada di terra e ghiaia battuta. La vegetazione appariva gradualmente sempre più folta lungo questo ultimo tragitto fino all’arrivo in una piccola area apposita per il riposo dei mezzi di trasporto.
Scendemmo, con Kira e ci incamminammo verso la laguna.
Rimasi in silenzio, fra me e me, nel mio stupore guardando ed osservando questo ambiente diverso, speciale ed unico per le sue variazioni di colore nel cielo e nei suoi riflessi.
Rimasi così, ascoltando le parole delle mie emozioni nel percorso con Renzo e Kira.
Non so bene darne una definizione, perché forse troppo perfetta per me.
Questo è stato il mio imprinting con questo ecosistema: un ambiente caratterizzato nella parte più sabbiosa da piante mediterranee quali fillirea, mirto, lentisco, corbezzolo, e per la parte più lagunare invece un enorme tappeto di salicornia, alternati da piccoli boschetti di pioppi, sughere, olmi e frassini.
La qualità di questo habitat e la sua posizione geografica lungo le rotte migratorie ne consentono la concentrazione di numerosi uccelli come fenicotteri, animali non cacciabili ma molto eleganti nel portamento e meravigliosi nei colori delle piume (i primi che ho visto), cavaliere d’Italia, airone bianco, falco pescatore, mestoloni, germani reali, spatole, beccaccini, folaghe, porciglioni ecc.
La springer durante la nostra marcia ha saputo regalarci grandi soddisfazioni nelle sue cerche.
Il suo modo di fare mi ha saputo trasmettere molte sensazioni positive, mettendo in atto tutta la sua intelligenza ed energia nelle cacciate senza ferma utilizzando anche bene il vento.
Il modo in cui si buttò in acqua mi trasmise una forza alla quale non so ben dare un significato.
In me rimase il sorriso nel seguirla e ben due volte fece partire prima un beccaccino e poi un porciglione.
Fu un grande compiacimento, anche perché nella mia prima esperienza conobbi i capi secondo il loro stile di volo.
Il tramonto si spegneva adagio e a malincuore ci allontanammo dalla laguna lasciando gli occhi al cielo mentre il rumore dell’auto che s’allontanava si faceva sempre più intenso.
La sera tornammo ad Orbetello per cenare a base di carne tipica (fiorentina) e buon vino.
L’indomani la sveglia fu anticipata dal canto degli uccelli in gabbia, ma questo m’importò ben poco.
Più entusiasta della nostra prima cacciata mi preparai alla svelta: indumenti, una svelta sciacquata alla faccia - per camuffare lo sguardo ancora assonnato - gabbiette nello zaino, armi nel fodero, zaino e via!
Affrontammo il nostro ultimo tragitto raccontandoci, canticchiando le canzoni che ascoltammo alla radio.
Fummo in un lampo sul ponte che attraversa la laguna e subito il mio sguardo fu rivolto a quei piccoli riflessi illuminati dalla luce dell’antico mulino sospeso sull’acqua.
Arrivammo, ed io fui più pronta di qualunque altro giorno. Sentii che quell’alba doveva essere in qualche modo speciale: quel sesto senso che cambiò la mia vita.
Solita luce in fronte, zaino, fucile in spalla e via nel bosco. Calma fu l’aria nel buio della notte.
Aumentavano i battiti a mano a mano che i passi si facevano più vicini al capanno.
Mi parve di conoscere fin da sempre quel bosco, in ogni suo piccolo dettaglio come fosse un amante, e solo lui fu in grado di regalarmi i più bei ricordi di un amore segreto.
Tutto il necessario fu pronto.
Caricammo per ultimo i fucili posandoli nella loro rastrelliera. S’innalzava un altro giorno davanti agli occhi, con luci nuove mentre si udivano i richiami dei volatili ed il lieve scricchiolio dei nostri sgabelli.
Per il resto… solo il silenzio.
“Renzo! Guarda lì quanti ce ne sono!”
“Carica!”
Cominciò così una mattina intensa per il numeroso passaggio di uccelli migratori.
Io con la canna della sua doppietta (calibro 410) ardente come il fuoco per tutti i tiri fatti in modo perfetto ed un Raffaello Ethos Calibro 28 pronto ad essere utilizzato.
Ora toccava a lui con il suo fucile monocanna calibro 20: prese la mira e premette il grilletto ma il colpo fu accidentalmente interrotto.
“Porca miseria! Ho il percussore rotto!”
“Non ci credo, usiamo il 410 ed il 28 e via.”
“Tira! Tira! Tira! Daiii…” gli dissi andando in escandescenza vedendo due merli posati sullo stesso ramo.
“Preso!”
“Batti cinque! Sei stato bravissimo! Abbracciami!” poi… il totale incendio.
“Renzo, passami le cartucce! Lì sotto!”
Imbracciai di corsa il fucile, mettendo davanti al mirino il merlo, poi… s’accese la fiamma in fondo alla canna senza aver scoppiato il colpo: cartucce bagnate.
“Che sfiga! Quel pacchetto è l’ultimo!”
“Prova a vedere il 20 cos’ha.”
“Controllo, tu comunque sparale tutte se hai la possibilità, così vediamo se sono tutte bagnate o meno.”
Esaltata e parecchio nervosa ripresi i miei spari, con soltanto due esiti positivi.
“Non ci posso credere!” esclamò Renzo.
“Cosa?”
“Era in sicura! Diamine”
“Oh, meno male” dissi, soddisfatta e felice che non ci fosse stato nessun problema tecnico.
Furono quasi le dieci di mattina quando mancarono gli ultimi due capi da abbattere per raggiungere il massimo dei carnieri consentiti dalla legge.
Ansiosi per i lavori da svolgere al capanno e per il mio eventuale ritardo al treno, aspettammo.
“Andiamo… tanto non ce ne sono più” mi disse malinconico.
“Le dieci in punto non lo sono ancora, resto fiduciosa di questi ultimi minuti per i due”.
Non appena finì la frase, volsi lo sguardo sulla parte sinistra dei primi alberi… per un istante il canto tacque, lo sentii arrivare e poi… eccoli! Un merlo ed un tordo posati, in modo ravvicinato.
“Tira! tira! tira! Guardalo lì!”.
Renzo subito andò in postazione per mirare e sparò: colpo perfetto!
I due capi caddero a terra, senza nessun gemito.
“Sei stato bravissimo amore mio!” gli dissi scherzando e gongolando per la sua bella impresa!
Cominciammo con il sorriso i lavori da svolgere: sistemazione degli utensili, ritiro attrezzi, pitturare le pareti del capanno.
Ritirammo per ultimo le gabbiette.
Rivolsi malinconicamente il mio ultimo sguardo alla maremma dall’alto, al suo mare e al suo cielo, prima di volgere i passi al sentiero.
Tristemente pensai al treno di ritorno che m’avrebbe atteso poco dopo.
Parlammo poco, ci guardammo soltanto scambiandoci parole e pensieri all’istante.
Quella fu la mia ultima cacciata con lui, la mia ultima ora felice.
Attraversando quel ponte, furono urla e pianti dentro al cuore.
Lo aiutai a scaricare il tutto davanti al cortiletto delle nostre due stanze e poi preparai le valigie per la partenza.
Quasi non volli entrare alla stazione dopo l’ultimo nostro abbraccio… rivolsi gli occhi verso il basso e la mancanza si fece sempre più logorante ma se penso a questa mia forte passione, mi rendo conto di volerla ricordar con il sorriso, per tutti i sacrifici fatti, per le gioie e dolori vissuti o meglio… per avermi fatto conoscere le persone per ciò che sono davvero, nelle piccole cose… come lui, Renzo, con il quale ho creato un profondo legame di amicizia malgrado la nostra distanza.
Ma se si vuole, ci si incontra sempre e lo faremo così, condividendo tante altre emozioni di caccia.