In questo inizio di stagione venatoria si sono registrate varie tragedie che hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica il problema caccia-sicurezza.
La caccia non è più pericolosa di altre attività all’aria aperta, basti pensare a quanti siano i decessi o gli infortuni per attività ludiche quali alpinismo, sci, immersioni.
Tuttavia è indubbio che maneggiare un’arma comporti rischi e necessità di grande attenzione, oltre che di conoscenze e nozioni tecniche. Nel corso dei miei tanti anni come istruttore di aspiranti cacciatori, mi sono sempre soffermato a lungo sull’importanza della sicurezza, conscio del fatto che un momento di distrazione può rovinare una vita.
Custodisco gelosamente un testo, il manuale del cacciatore scritto nel 1942, che al capitolo dodici parla dei doveri del cacciatore, tra i quali l’attenzione alla sicurezza e descrive tutti i comportamenti da tenere per garantirla.
La legge quadro, la tanto vituperata 157/92 all’articolo 21, fissa le limitazioni e le distanze da tenere nell’esercizio venatorio: queste rappresentano il limite massimo di avvicinamento a determinati luoghi come abitazioni, luoghi di lavoro, strade, ecc. ma obbedire alla norma potrebbe non essere sufficiente in alcune circostanze, pertanto è fondamentale la prudenza.
Nel parlare di sicurezza non si può prescindere dal tipo di caccia praticata, perché, pur senza gettare la croce su nessuno, é inevitabile come alcune forme siano oggettivamente più pericolose di altre.
Nella caccia di selezione si avranno meno rischi che in una braccata al cinghiale, così come nella caccia in botte alle anatre ce ne saranno meno che in una battuta alla lepre.
Il tiro da posizione fissa, che permette di conoscere preliminarmente e con attenzione il territorio circostante, il tipo di bersaglio sono tutti elementi che diminuiscono drasticamente le probabilità di un incidente, ma non per questo bisogna peccare in eccesso di confidenza.
Ripeto per chiarezza che non intendo criminalizzare un tipo di caccia rispetto agli altri, ma nella mia disamina prenderò in esame quello a mio avviso oggettivamente più pericoloso, la caccia in braccata al cinghiale.
Questa forma di caccia di grande tradizione soprattutto nel centro Italia rappresenta senza ombra di dubbio un patrimonio culturale dell’arte venatoria italica: il latrare dei cani, i tracciatori e i canai che insidiano la “bestia nera” nel fitto della macchia e i postaioli, in religioso silenzio in attesa di sentire il frusciare delle fronde di un cinghiale in fuga dai segugi sono tutti elementi che non possono non emozionare qualunque seguace di Diana.
Tuttavia occorre praticarla nel massimo rispetto delle norme di comportamento, non tollerando alcuna deviazione dalle stesse.
La braccata, dicevo, rappresenta oggettivamente la forma che presenta più pericoli per svariati motivi: la presenza di un gran numero di partecipanti, il territorio fatto di boschi e macchie fitte che riducono o a volte azzerano la visuale del cacciatore, l’esistenza dei conduttori dei cani che si muovono all’interno delle linee di tiro e non ultimo il bersaglio, rappresentato da animali che fuggono spesso a velocità elevata e concedono solo una frazione di secondo per il tiro.
Far presente tutto questo non deve essere visto dai cacciatori di cinghiale come una minaccia alla loro attività venatoria da parte dei loro detrattori, che si annidano anche tra coloro che praticano altre forme di caccia, ma deve far loro riflettere per attuare tutti quei comportamenti che tendano a minimizzare il rischio (che non potrà mai essere azzerato, giova ricordarlo ed è valido per qualsiasi forma di caccia) e a prevenire potenziali incidenti.
Sono tante le norme sia legali che di comportamento che un membro di una squadra di caccia collettiva deve seguire, ma sorvolando sulle più ovvie ma non meno importanti norme di comportamento con un fucile tra le mani, come comportarsi come se fosse sempre carico, mai rivolgerlo verso persone, riconoscere sempre preventivamente il bersaglio prima di sparare e tante altre, mi vorrei soffermare su una credenza che potremmo assurgere a “leggenda metropolitana” come gli alligatori nelle fogne di New York, vale a dire:
"Le ogive delle carabine non rimbalzano!"
Ho sentito tante volte questa frase anche da parte di cacciatori esperti, o meglio dire con molte licenze alle spalle.
Questa convinzione errata, messa in giro da non si sa chi per la prima volta, ha avuto il potere di diffondersi a macchia d’olio nella massa dei cacciatori, determinando così un passaggio quasi totale dalla canna liscia alla carabina a canna rigata.
Se dal punto di vista della mortalità del colpo posso essere d’accordo, l’energia sviluppata da una qualunque munizione a canna rigata e soprattutto la sua capacità di penetrazione sono molto superiori ad un calibro 12, dall’altro però moltiplicano i rischi di incidenti e non li riducono affatto!
Questa mia affermazione può suonare strana, ma esaminiamo in dettaglio come si comportano le due munizioni, ancor prima di esaminare la tanto dibattuta questione dei rimbalzi:
Questi dati testimoniano in modo evidente come le munizioni a canna rigata abbiano un raggio di azione molto più ampio e conseguentemente siano letali a distanze maggiori, tutto ciò basterebbe a definirle più pericolose, ma spesso l’argomento in difesa di queste ultime era la questione dei rimbalzi che, in un campo di utilizzo ristretto e intricato come la macchia, era vista come la variabile determinante nell’equazione per determinare la pericolosità.
Si diceva:
“Sì è vero sono più veloci, hanno più energia, vanno più lontano, ma almeno se colpiscono un albero esplodono e non rimbalzano come invece fanno le palle uniche calibro 12”.
Sfortunatamente per queste argomentazioni il rimbalzo dei proiettili segue le normali leggi della fisica.
Senza addentrarci in calcoli trigonometrici per la velocità perpendicolare e la velocità tangenziale, basti sapere che:
Tutto ciò vale sia per i proiettili a canna liscia che per quelli a canna rigata!
Ho la fortuna di collaborare con un'associazione di cacciatori che pratica la braccata ed è molto attenta a questi aspetti e con loro, ogni anno, si organizza un convegno sul tema.
Da un paio d’anni a questa parte si è deciso di dare rilievo a questo aspetto con diverse testimonianze di tecnici ed esperti balistici.
Il risultato si potrebbe sintetizzare con un ragionamento poco accademico ma molto pratico:
“Non è possibile determinare a priori dove e come rimbalzerà un proiettile sparato nel folto del bosco verso un cinghiale che corre, ma state certi che quel proiettile, se colpirà qualcosa di duro, prima, dopo o invece di aver attraversato il cinghiale, rimbalzerà dopo essersi frammentato.”
Esistono vari filmati tra cui uno realizzato dalla Blaser Academy che testimoniano molto chiaramente come le ogive delle munizioni a canna rigata possano rimbalzare pericolosamente se utilizzate all’interno di un bosco.
In particolare al minuto 0:47 si vede come i petali di rimbalzo dopo l’impatto con un sasso mantengano sufficiente energia da spezzare un ramo abbastanza robusto.
Non serve molta immaginazione per capire cosa sarebbe potuto succedere se invece del cespuglio ci fosse stata una persona.
L'analisi del problema e di ciò che abbiamo visto dipendono moltissimo anche dalla tipologia di proiettili usati e dall'orografia dei luoghi.
Le carabina infatti, oggi vede una sua pericolosità reale passare da livelli altissimi a medio-bassi in determinati scenari e situazioni di caccia.
Ad esempio, con le palle monolitiche integrali in rame (spesso prescritte dalle leggi o da regole provinciali / regionali) diventa talmente pericolosa, da rasentare l'inaccettabile, mentre se si facesse uso oculato di palle davvero fragili e caricamenti velocissimi, tutto cambierebbe radicalmente in senso diametralmente opposto.
Innegabile invece come la canna liscia sia da sempre e rimanga pericolosa.
Questo è un dato di fatto balistico legato alle sue palle grosse, pesanti, relativamente lente e poco frammentabili che notoriamente tendono a deviare e rimbalzare facilmente.
La sua pericolosità probabilmente è simile a quella della carabina considerando in linea generale per questa un uso effettivo di varie tipologie di palle, più o meno pericolose.
Allora tutto quanto detto, per evitare situazioni di pericolo, dovrebbe diventare patrimonio di ciascun cacciatore, la conoscenza della propria arma, non solo in termini meccanici ma anche e soprattutto balistici permetterebbe di approcciare il tiro con quella tranquillità e serenità che dovrebbe consentire una valutazione di tutti gli aspetti prima di premere il grilletto, anche perché dopo non si può tornare indietro!