Stavo quieta e seduta sulla poltrona, davanti al fuoco -ormai troppo vivace- mentre sorseggiavo l’ultimo avanzo di the.
Era la sera del sedici gennaio, quando quasi pronta a riposarmi per la notte, ricevetti una chiamata inaspettata da Federico, mio cugino.
Mi scombinò tutto quella chiamata, e subito non esitai a scrivere a Marco, un amico incrociato casualmente qualche giorno prima; anche lui appassionatissimo di armi di vario genere (principalmente medievali e Revolver).
Successivamente, visto l'appuntamento coi piattelli, mi dedicai alla preparazione del mio Benelli Ethos in calibro 20 e del mio abbigliamento.
Nel crepuscolo, nonostante le precedenti insonnie, non fu affatto facile prendere sonno.
Il cuore ed i pensieri a modo loro sognavano già cosa sarebbe avvenuto il giorno seguente.
Il soffitto rifletteva gli occhi spalancati della notte, regalando al sole il benvenuto nel nuovo giorno.
Fui entusiasta di scoprire il mondo del tiro al volo.
Questo sport mi incuriosì fin dall’inizio della mia scoperta per la necessaria costanza nell’allenamento non solo effettivamente sul campo, ma anche sull’esercizio fisico e sulla concentrazione mentale proiettata quasi sempre per abitudine nella vita quotidiana.
Ore nove e trenta.
Sullo schermo del cellulare comparve un suo messaggio:
Il mio sorriso fu già stampato sul viso ed entusiasta risposi in un lampo.
In attesa di quei minuti infiniti, controllai le ultime faccende della casa e poi uscii.
Mancavano dieci minuti al suo arrivo ed io, impaziente, avevo già sistemato il necessario all’interno dell’autovettura.
Scesi, qualche minuto dopo per appoggiarmi sul bordo della strada, per fare sì che in qualche modo mi vedesse.
In lontananza, qualche minuto dopo, vidi una Cinquecento, grigia… era lui!
“Eccolo! Evvai! sono troppo felice, tra poco si parte!” dissi tra me e me.
Due croissant, caffè, cappuccio e via! Si parte!
Il viaggio con la sua Abarth fu intenso d’adrenalina, per l’auto dall’assetto sportivo.
La Val Tanaro si concluse quasi in un lampo e come sempre, quando si trascorrono alcuni momenti felici, il tempo sembrò accorciarsi sulle lancette, ma comunque fummo ben lieti di aver sfruttato questa occasione per rivederci e per riparlarci dopo tanto tempo.
Mancavano circa quindici minuti per il primo traguardo; nel tragitto godemmo del bellissimo paesaggio caratterizzato dalle morbide colline delle Langhe piemontesi.
In ogni loro sfumatura, assaporammo come fosse una magia, i vigneti nati tra i diversi borghi di antica fondazione, dove potemmo vedere castelli e chiese di diversa epoca storica.
Arrivammo finalmente a destinazione: nel centro di Carrù.
Approfittammo, in seguito al posteggio dell’auto, del tempo che ci avanzava per passeggiare sotto ai portici del paese.
L’ingresso dell’armeria era ormai vicino ed io acceleravo sempre di più il passo per l’emozione.
Fui felice di esser passata con Marco, vista la sua prima visita.
Lo trovai entusiasta nell’osservare ogni oggetto sugli scaffali del negozio, ma mai come quando salimmo al “piano Armi” dove ritirai le munizioni e lui si emozionò alla vista di un bel Revolver 44 magnum.
L’ora del pranzo ormai ci raggiunse e quindi decidemmo di abbandonarci ai sapori del territorio, sostando per circa un’oretta in una trattoria: acqua, vino rosso, castagne al miele, salame, taglierini al ragù di bue e bollito con diverse verdure di contorno, caffè.
Cosa potevamo chiedere di più?
Infine i minuti si rivelarono stretti e partimmo per la penultima tappa, dove avremmo visto Federico, mio cugino, titolare del ristorante cuneese “L’Oca Nera Ristorantino”.
Ansiosa ed agitata passai gli ultimi istanti d’attesa.
Giunti al luogo dell'incontro dopo circa trenta minuti, ci mettemmo uno dietro l’altro fino al raggiungimento del campo.
“Dai, Dai, Dai! Marco, siamo quasi arrivati!! Giri li e si entra!!!” dissi tempestosa.
Il silenzio dei motori, le urla del cuore, il rimbombo degli spari, il bisbiglio dei pensieri…
Ascoltai questo mix di gioia dentro di me e fui già in totale pace.
Là ad aspettarci c'era Luca Emanuel, il responsabile del campo.
Ci accolse felice ed esaltato, con abbracci tra una storiella e l’altra, per svecchiare le nostre memorie.
Arrivati dietro la cabina dello skeet, mi appoggiai sul tavolo apposito e aprii il fodero sfilando il fucile dalla stoffa,poi scartai come un regalo la mia prima scatola di munizioni.
In quel momento Federico cominciò la sua prima serie da venticinque ed io ne approfittai per apprendere qualche nozione, vista la mia inesperienza in materia.
Ad ogni suo sparo, mi sentii più sicura di cominciare a percorrere questa strada.
Notai ogni suo gesto, nella posizione del fucile sul braccio, nella postazione delle gambe, nel caricamento e ogni sua altra piccolezza.
Toccò a me: il panico.
“Chissà se prenderò qualcosa, ho una voglia di spaccare qualche piattello, sono sicura che mi darebbe un’enorme soddisfazione… dai, forza, se non lo prendo alla prima, lo farò alla prossima”, pensai.
Feci qualche prova di imbracciamento per capire come avrei potuto farlo nel modo più confortevole per me; postai le gambe ed i piedi in modo, spero, adeguato e poi... il mio primo “Pull!”.
Il cuore batteva all’impazzata ancor prima del comando della voce.
La testa, ormai, fu assorbita da ogni suo movimento, nonostante l’ansia.
Per la prima volta ebbi l’impressione di dimenticarmi di tutto, anche forse della cosa più importante.
Scomparve il sottofondo delle voci alle mie spalle e sfumò tutto per me in quell’istante, tranne nella mente quel piccolo dischetto arancione.
Sentii scorrere gli ingranaggi della macchina al mio fianco; quello mi aiutò a capire quanto ci mettesse ad apparire e, quando in aria, quale fosse la sua direzione.
Il fucile già si mosse d’istinto verso il cielo.
Nell’azzurro, vidi quel piattello e subito lo coprii con la canna del fucile. Nell’attimo rincorrendolo premetti il grilletto sparando il colpo.
Lo stupore non poté far altro che vibrare nella mia azione ed il sorriso brillare sul viso, ai coriandoli del mio primo bersaglio.
Successivamente mi concentrai su ogni altro bersaglio, con la speranza di divertirmi ed esser nuovamente felice.
Le munizioni ed il fucile furono l’accoppiata vincente per me, per la loro affidabilità e leggerezza: ad ogni sparo, ad ogni rinculo del fucile, non avvertivo chissà quale sforzo per controllarlo, mentre ad ogni scoppio si animava, ma in maniera così soffice da non portarmi quasi mai fuori mira.
Qualche errore di troppo comunque ci fu, lo ammetto, perché ancora tanto mi resta da imparare di questa passione: come in tutti i settori, l'arte nasce da lungo lavoro e tanto sudore.
Federico ed Arnaldo, intanto mi osservarono, nei movimenti e ogni tanto, come giusto che sia stato, mi diedero qualche consiglio per migliorare:
L'adrenalina pulsava vivace soprattutto quando io e Federico gareggiavamo insieme, io da una pedana e lui dall’altra.
Mi stupì, la sua esclamazione, di nuovo, all’ennesimo coriandolo.
Successivamente, diedi il mio fucile e le munizioni in prova a mio cugino.
Prima di cominciare la sua serie, mi chiese qualche consiglio sul caricamento dell’arma, ovviamente, diversa dal suo sovrapposto.
Successivamente su venticinque, ne fece ventiquattro fuochi d’artificio.
Fui davvero contenta ed orgogliosa di questo suo risultato
Nel contempo avemmo la fortuna d'incontrare diversi ragazzi del luogo, con i quali condivisi la passione per la caccia e per i cani, descrivendo e raccontando alcuni delle nostre memorie.
Marco fu molto stupito di questa sua prima esperienza al campo; soprattutto dalla capacità di questo sport di distrarre la psiche da ogni nostra problematica quotidiana.
Il tardo pomeriggio fu alle porte e noi, con calma e a malincuore, ritirammo le armi, aiutando a sistemare i bossoli al proprio posto.
Prima di partire per il ritorno trascorremmo ancora un po' di tempo alla casa del campo, dove ci riunimmo in una tavolata per il rito della merenda.
“Di sicuro ritorneremo, con più sorrisi e più grinta di sempre, perché se la passione resta nel cuore e nella volontà, vivrà sempre, nonostante ogni sua difficoltà”.