Il Kurzhaar, conosciuto anche come Bracco Tedesco, ha origine in Germania, dove si trovano tracce della sua esistenza già a partire dal 1700.
Non si sa bene da quali incroci derivi, alcuni sostengono con bracchi italo-francesi ed esemplari di bracco belga, altri parlano di sangue di bloodhound. Ciò che sembra più certo è l’introduzione di sangue “Pointer” che migliorò doti olfattive e struttura fisica.
L’intento dei primi selezionatori, peraltro riuscitissimo, fu quello di creare una razza con spiccate attitudini venatorie e tra i primi che dettarono le regole della razza non possiamo non citare il principe Albrecht de Solms-Baunfeld.
Grazie alle sue peculiarità, il bracco tedesco, ha riscosso negli anni a venire enorme successo in Germania e non solo. Nel 1991 venne fondata l’Unione Internazionale Deutsch Kurzhaar in cui sono associati i club di 24 paesi.
Ma è all’inizio del ‘900 che i cinofili tedeschi operano un intervento deciso su questa razza, fissando le linee generali del nuovo cane da ferma tedesco a pelo corto, il “Kurzhaar” appunto, che sono quelle arrivate ai giorni nostri.
L’azione si focalizza su questi tre concetti: nobile, potente e resistente e le scelte operate vanno tutte in questa direzione.
Forme svelte ed eleganti, agile, robusto, corpo da atleta, senza pesantezza, presenta linee cranio-facciali che rispettano gli standard europei dei cani da ferma continentali, canna nasale leggermente montonina.
La selezione operata mira a ridurre la lunghezza dell’orecchio alzandone l’attaccatura, riducendo altresì il labbro in modo da ottenere un muso asciutto. La selezione rigida non riguardò solo l’aspetto, ma anche la tipicità e uniformità dello stile di lavoro. In questo modo il prodotto che si ottenne si distinse, e si distingue tutt'oggi, da tutti gli altri bracchi continentali; perciò continuare a chiamarlo “Bracco” è senza dubbio sbagliato e fuorviante.
La differenza la si nota subito andando a caccia perché se molti sono i cani buoni per la caccia, il Kurzhaar ha proprio “fame” di caccia, un’attività che fa parte del suo DNA e che lo porta a essere determinato e determinante nell’azione venatoria.
Presenta una cerca veloce e sicura che trasmette al padrone un senso di sicurezza e calma a tutto beneficio dell’azione di caccia. La sua andatura è il galoppo, un galoppo con il centro di gravità non troppo verso l’anteriore per cui spesso è definito “rampante”.
Movimento continuo ed energico, ma non impetuoso come il Pointer, in modo da permettere al cane rapidi rallentamenti e non arresti di scatto.
L’aspetto che forse più lo avvicina al “Bracco”, se proprio vogliamo trovare una liaison, è l’atteggiamento da ragionatore che lo contraddistingue, perché quando va in emanazione protende il collo e prende l’andatura di trotto fino ad arrestarsi in ferma.
L’essenza del Kurzhaar è racchiusa tutta in una descrizione che fa Alberto Chelini nel suo libro dove sostiene che il Kurzhaar deve galoppare ma deve andare più piano degli inglesi. Questa andatura gli consentirà di filare, rallentando gradualmente fino a fermare il suo selvatico.
Il Kurzhaar è inglese prima di avvertire e italiano dopo.
P. Oliva dell’allevamento “Gassinensis” sottolinea che il Kurzhaar è un continentale e che ha e deve avere una costruzione e impostazione che nulla ha a che vedere col pointer.
È vero che in origine, e spesso anche negli anni più recenti, sono avvenuti degli incroci, ma il Kurzhaar deve essere scevro da questa pointerizzazione, non deve avere le modalità né la velocità dell’inglese e anche se dotato di una marcia in più, deve essere sempre da continentale.
Ausiliare dall’olfatto potente che gli consente di fermare a distanza notevole qualsiasi selvatico, deve molto della sua gloria al carattere generoso e al suo aspetto di cacciatore “generico” termine che si dovrebbe però snaturare dal suo significato italiano, perché inteso riduttivamente.
Lo si dovrebbe invece interpretare come dote, capacità di cacciare con la stessa sagacia, caparbietà e generosità tutti i tipi di selvatici migratori e stanziali, su qualsiasi tipo di terreno.
Perciò sarebbe meglio definirlo cane da caccia “universale”, collo montante e tartufo alto, capace di dettagliare come un bracco e in grado di accelerare come un inglese, dominatore del vento.
Il successo che la razza ha avuto in Italia è probabilmente conseguenza dell’affossamento di quel tentativo, tutto nostrano, operato nell’immediato dopoguerra, di inventare il meticcio da caccia per eccellenza: il “Bracco-Pointer”.
Molto diffusi da nord a sud e richiesti per le doti venatorie e la versatilità di impiego, ci si accorse che, in realtà, quello che chiedevano i cacciatori di allora e le future generazioni, esisteva già e, senza tante alchimie, aveva pure un nome: il Kurzhaar.
Certo nei primi anni l’eccessiva “pointerizzazione” della razza qualche problema l’ha causato, ma diciamo che a partire dal suffisso “Della Goga” del cav. Corteggiani, si gettò la pietra miliare di questa razza in Italia.
I primi Kurzhaar, a parte qualche sporadico esemplare proveniente da allevamenti italiani ma sempre di chiare origini teutoniche, era di diretta derivazione tedesca, però a partire dai primi anni 80 e la prima metà degli anni 90, si iniziò ad inserire sangue francese.
Lo stile che la corrente di sangue di Tintin du Mas de la Combe e di Uliss, trasmetteva a figli e nipoti, piaceva molto al cacciatore italiano perché più si avvicinava al suo genotipo di ausiliare. L’immissione di questo sangue diede la scossa alla razza, producendo numerosi campioni che si affermarono su tutti i campi nazionali ed europei.
Ma fu già sul finire degli anni novanta, che ci si accorse che la corrente dei de la Combe, iniziava a mostrare delle “carenze” non rispondendo più alle esigenze della caccia pratica ma solo a quelle delle competizioni.
A detta di molti esperti del settore, come Siciliani, Lacchini o Nicotra, l’allontanamento del Kurzhaar dal sangue originale tedesco ne ha dettato, nel tempo, lo snaturamento.
Iniziare a selezionare cani che si dedicano di più a lacet o che presentano una bella forma fisica e prestanza atletica, che sono in grado di coprire estensioni vaste di terreno, ma che poi non concretizzano sulla selvaggina è stato un errore che ha fatto pagare a questo magnifico ausiliare, che ha nella sua natura la caccia e la vita all’aria aperta, colpe non sue.
Quando lo stile e la bellezza hanno iniziato a valere più del rendimento venatorio, la razza ha subito un rallentamento.
Molti altri esperti, come Domenico Oliva, individuarono il problema invece nella selezione fatta, troppo spesso, su selvaggina di gabbia, non sulla montana né sulla beccaccia, così facendo si iniziò a intraprendere un percorso fatto da soggetti con attitudini venatorie non corrette.
Non solo, iniziano ad apparire Kurzhaar dal galoppo troppo spinto e brutale che non rallentano e fermano di scatto.
A tale aspetto pointereggiante si associa spesso riduzione della taglia e di conseguenza diversa modalità di galoppo e quindi ferma. E mentre in Francia e ex-Jugoslavia si inizia a pretendere minore velocità, in Italia, cronisti come Scheggi, lamentano una mancanza di osservazione delle regole e una carenza di uniformità a livello internazionale, così accade per esempio che, sempre in Francia, si accetti la ferma a terra.
Per far rifiorire il Kurzhaar, sottolinea Scheggi, non servono più fuoriclasse, se ce ne fossero molti non sarebbero più tali, ma serve un buon “Cantore” della razza e sicuramente più caccia!
Anche la Sicilia venatoria non è rimasta immune dal fascino del Kurzhaar, così all’incirca un quarantennio fa, si iniziò a riscoprire questa razza nella sua versione pura e diversi ne furono acquistati tra il palermitano, il trapanese, il messinese, il catanese e la zona iblea. Proprio in quel periodo, ricordo che mio padre possedeva un Kurzhaar roano marrone proveniente da un allevamento ligure.
Sembra strano parlare di cani da ferma per la caccia in Sicilia e in particolare di Kurzhaar.
Il perché dell’interesse dei cacciatori siciliani verso questa razza? È semplice, basta andarci a caccia e si capisce subito con che cane si ha a che fare.
Grinta, sagacia, tenacia, resistenza e versatilità sono solo alcune delle doti che contraddistinguono i bracchi tedeschi, e sono doti che ben si addicono al difficile e poco omogeneo territorio siciliano, ricco, almeno in quel periodo, di selvatici migratori come quaglie, beccacce e beccaccini nelle marcite, ma ricco soprattutto di quella che era ed è ancora oggi, pur se ormai confinata in un ristretto territorio, la regina delle rocce: la Alectoris Graeca Withakery.
Un cane, il Kurzhaar, che traduceva, in quegli anni, la necessità di cambiamento del cacciatore siciliano, che doveva far fronte alla diminuzione del coniglio selvatico e diversificare la sua attività venatoria, e che per tale motivo necessitava di un cane da caccia concreto, irriducibile, in grado di sopportare la calura estiva dei primi mesi di apertura, capace di dare il massimo negli ampi spazi dei terreni pianeggianti così come in quelli intricati dei boschi e i rocciosi dei monti. Un cane capace di captare qualsiasi selvatico, dalla piccola quaglia al beccaccino, dalla beccaccia alla coturnice, dal coniglio alla lepre.
Con tale termine mi piace indicare tutti quei seguaci di Diana, che ancora si identificano nell’essere tali e non schiavi delle mode del momento o dei gruppi a cui appartengono o della compagine di cui fanno parte senza la quale, probabilmente, non andrebbero più neanche a caccia.
Identifico quei cacciatori che amano ciò che fanno e lo fanno non per gloria o per sentirsi i primi della loro categoria, ma solo per puro edonismo, piacere personale e soddisfazione del proprio animo.
Tra i primi che ho conosciuto, sicuramente mio padre.
Avevo poco più di 5 anni e negli anni 70 nella Sicilia del sud est, poco più a sud di Tunisi, trovare un cacciatore che possedeva un bracco tedesco puro sangue proveniente da un allevamento ligure, era molto difficile.
Noi ce l’avevamo, purtroppo ho pochi ricordi di quel magnifico ausiliare, però ben chiari e nitidi.
Ricordo che con me era affezionatissimo e aveva un forte senso di protezione, a caccia aveva un trotto ben serrato e un incrocio naturale che riusciva a coprire vaste porzioni di terreno.
Mi ricordo che quando trovava dei ricci, tutto contento me li portava e me li lasciava ai piedi.
Delle azioni di caccia mi rimangono impresse dei pomeriggi a quaglie lungo il litorale ispicese in mezzo a dei cespugli bassi e vischiosi che nascevano sulla sabbia; il bracco tesseva quei posti ampi tra vigne, giunchi e cespugli e palizzate di canne, fino a quando non andava in emanazione e rallentando progressivamente, come da manuale, lo scorgevamo pietrificato, in ferma sulle quaglie, collo muscoloso, garrese piantato, testa alta.
Durante la fase di riporto, dente un po’ duro, ma la prima quaglia la riportò direttamente a me lasciandomela nelle mani e poi ripartì al galoppo a cercarne altre, sempre avido e sempre infaticabile.
Altro ricordo indelebile: un pomeriggio sul finire di settembre tornavamo da una battuta a coturnici durante la quale il bracco si era espresso in formidabili ferme e recuperi, riporti e ribattute; ritornavamo verso l’auto quando dopo una ferma sempre muscolosa e possente, partì una magnifica lepre.
Ferita da due colpi andò via e il bracco a inseguirla, inutili furono i richiami.
Attendemmo fino al crepuscolo e quando ormai erano perse le speranze, nel silenzio e nella tranquillità della sera incombente udimmo in lontananza il trotto cadenzato del bracco, mio padre iniziò a chiamarlo ma non ce n’era bisogno lui ci aveva già sentiti, arrivò trafelato e saltò sul muro a secco vicino l’auto stagliandosi contro gli ultimi raggi del sole al tramonto con la grossa lepre in bocca.
Un giorno di caccia della passata stagione venatoria, mentre in tutta tranquillità col mio ausiliare vagavo per le mie valli in cerca di beccacce, mi capitò di incontrare un bracco tedesco. Tutto marrone si muoveva sinuosamente tra il folto della vegetazione come se questa non esistesse.
Solcava il sottobosco con testa alta e naso al vento sempre pronto a captare qualsiasi odore.
Alla sua vista il mio Breton venne a rifugiarsi dietro di me, visto che lo sovrastava di almeno 20 cm, io invece rimasi a guardarlo perché ammiravo il trotto cadenzato e il modo che aveva di seguire le piste olfattive senza mai abbassare la testa, un esemplare che incarnava molto nella forma e nell’atteggiamento il tipico Kurzhaar.
Così com’era comparso sparì, seguendo la salita ripida alla mia sinistra con la stessa scioltezza di chi affronta una pianura.
Qualche chilometro più avanti incontro di nuovo il bracco ma stavolta col proprietario. Ci presentiamo, si chiama Corrado viene da Noto qualche chilometro distante dal mio paese.
Benché io sia piuttosto riservato, con Corrado entriamo subito in sintonia e iniziamo invece a parlare di caccia, e dei suoi mali, di cani e naturalmente di selvaggina.
Gli faccio i complimenti per il bellissimo soggetto, si chiama Evan ed ha solo due anni, ma si muove sul terreno con una sicurezza e grazia da sembrare un veterano.
Corrado mi dice che alleva alcuni soggetti a livello amatoriale; gli chiedo dove addestra lui i suoi ausiliari, visto la disastrosa situazione del mio versante e Corrado mi risponde sui monti Iblei dove si trova qualche quaglia, delle beccacce e soprattutto lei, la regina delle rocce: la Alectoris Graeca Whitakery.
Non riuscivo a crederci, non ne vedevo da diversi anni. Chiesi a Corrado di portarmi nei suoi luoghi per incontrare questo stupendo animale a cui non si può andare a caccia, certamente, ma almeno saremo liberi di farlo incontrare ai nostri ausiliari.
Nonostante una certa renitenza giustificata dalla gelosia per i luoghi “personali” dove vivono alcune brigate di coturnici, Corrado accettò di portarmici. Stabiliamo un giorno, prima che si chiuda l’attività venatoria, per andare sui monti iblei, naturalmente senza armi, ma con solo i cani. Così una bella domenica mattina col cielo terso e l’aria molto fresca ci incontriamo presso Noto ancora all’alba.
Salgo in auto con Corrado e iniziamo una lunga salita tra stradine e sentieri, nel tragitto chiedo come mai si sia dedicato al Kurzhaar, visto che nel comprensorio e nel gruppo social di cui fa parte sono quasi tutti setterman e pointerman.
Lui mi risponde che si è trattato di un amore a prima vista nato tantissimi anni fa quando suo padre ne acquistò uno per la caccia. E adesso anche lui cerca di tramandare la sua esperienza nell’allevamento e l’amore per la razza a sua figlia Cristiana.
Mi spiega ancora che la genealogia dei suoi cani è italiana ed estera, l’intento è quello di tirare fuori soggetti sempre più validi per la caccia e che si possano utilizzare anche per le gare, anche se in Sicilia (ma non solo mi sembra) tutto rema contro al nostro mondo, la politica, la totale assenza di gestione venatoria, l’impoverimento della società, la diminuzione dei cacciatori veri, la perdita di biodiversità e l’abbandono dell’agricoltura tradizionale.
Scendiamo dall’auto sul crinale di un colle, come tutti gli appassionati di cani da ferma siamo alla ricerca del bello da vedere, una guidata, un affondo, una ferma, gesti e attimi che ci provocano sentimenti intimi che ci fanno rabbrividire e commuovere, mentre siamo in trepida attesa di gustare fino in fondo l’emozione di un frullo.
Corrado ha portato oltre ad Etan anche un cucciolone, i cani appena sciolti iniziano a girare alacremente con il loro trotto veloce e iniziano pian piano ad allargare il giro intorno a noi.
Inizialmente si muovono a spirale poi iniziano ad allargarsi sui fianchi, con affondi che sembrano disegnati.
L’andatura dei due Kurzhaar è decisa e perentoria, dominano la scena trasmettendo grande sicurezza e padronanza della situazione. Una condizione che trasmette al cacciatore che li accompagna, la quasi certezza che sul terreno passato non ci sia la presenza di un selvatico tralasciato.
Scendono a dettagliare nei calanchi, sugli speroni che si affacciano sui dirupi, salgono sui costoni che ci sovrastano. Allungano coprendo una vasta area di terreno.
Avanziamo su una sella tra due monti, Evan si stacca e circa un 200 metri più in basso lo vediamo filare e fermare.
Il cuore in gola, cerchiamo il sentiero per scendere, non so come avremmo potuto fare con un fucile in mano, cerchiamo di avvicinarci il più possibile aiutandoci anche con le mani per stare in equilibrio; anche l’altro cucciolone di Kurzhaar va in consenso, due statue di marmo marrone, se non fosse per il vapore che evapora dal mantello bagnato, in mezzo a un mare di giunchi dorati, testa alta naso al vento, muscoli tesi allo spasmo, coda alta, garrese ben piantato. Giunti a ridosso dei cani, Corrado mi invita ad avvicinarmi e a sopravanzare il cane, ed è a quel punto che il cuore mi sobbalza quando sei stupende coturnici si librano con un fragoroso frullo.
Le ammiro mentre si tuffano nel vuoto planando nell’aria verso la collina di fronte verso la libertà e verso la salvezza. Dopo tanti anni due grandissime emozioni, il lavoro metodico ed energico di un Kurzhaar da caccia e l’emozione del frullo della Coturnice siciliana.
Nel 2015 in Italia risultavano iscritti all’Enci 2.500 esemplari. La razza, nonostante tutto mantiene una presenza di tutto rispetto. Dall’analisi fatta sulla situazione della razza mi sembra che poco sia cambiato rispetto agli anni ‘90.
In giro si incontra un po’ di tutto, Kurzhaar con taglie estreme in eccesso o in difetto, galoppatori sfrenati e nevrili, teste poco conformi, manti bianco/marroni sullo stile del kurzhaar americano.
Benché i cinofili legati agli standard di razza sembrano mantenere una buona consistenza numerica, ci sono ancora troppi soggetti addestrati e selezionati su selvatici non veri.
Fortunatamente però esistono ancora degli allevamenti seri che producono cani da caccia che si possono utilizzare anche nelle competizioni e non viceversa.
Alcuni saggi allevatori di affissi nazionali come quelli menzionati, e anche amatoriali come quelli che mi è capitato di incontrare, resisi conto del rischio che si stava correndo hanno iniziato a incrociare con soggetti di sangue slavo, ungherese e cecoslovacco nel nome del “pankurzharismo”.
I Kurzhaar provenienti da questa area presentano un atteggiamento e un’attitudine venatoria molto vicina alle nostre esigenze venatorie e che da noi ormai era troppo blanda, e sono riusciti a rimediare alle gravi lacune createsi nella razza.
Ma, in fin dei conti, l’allevamento italiano del Kurzhaar rimane invidiato in tutta Europa, la forza e l’intelligenza di cinofili e allevatori nostrani sta nella bravura di migliorare le razze create da altri.
E forse, una volta che gli ultimi colpi di coda dello sfrenato consumismo che ha interessato il nostro mondo e che ci ha tramandato la bad-practice del tutto e subito senza faticare, saranno terminati, forse solo allora potremo tornare a parlare di cani da caccia.