Hunting Spot: il posto giusto per vivere la tua passione!

Libera come le frange della coda di un setter

Scritto da Cristina Meriggi | 17-lug-2020 10.11.55

Da quando sono piccola ho sempre avuto almeno un cane nel cortile, anzi, da quanto mi possa ricordare, mai meno di due.

Per chi non mi conoscesse faccio un breve epilogo della mia vita: ho 22 anni, vivo sulle colline di Miradolo Terme e sono nata in una famiglia con nonno e zio materno grandi segugisti e appassionati di caccia alla lepre, mentre, da parte di padre, i nonni non sono mai stati molto interessati ma lo era il mio bisnonno.

Cresco a pane e petto di fagiano, accompagnata per tutta la mia infanzia da storie cinofile in ogni momento di aggregazione con i parenti.

All’età di 36 anni, mio padre, affascinato dal mondo in cui vivevano suocero e cognato, prende la licenza ed io, piccolina, inizio ad essere incuriosita da tutte le diverse specie di volatili che deve studiare per acquisire l’abilitazione. Mi ricordo che il primo anatide che imparai fu il mestolone: inconfondibile.

Come insegnante ha avuto un vecchio barcaiolo nato e vissuto da sempre sul grande fiume Po, l’intramontabile Gino, e come parte più “teorica” e tecnica, un dresseur di setter inglesi.

Mio padre inizia così a frequentare il TaV del paese e lì, mia mamma, mi compra il mio “cappellino da Po”, dal quale non mi separo mai e utilizzo tutt’ora quando navigo il fiume o vado in campagna.

Papà porta a casa un cucciolo di setter inglese tricolore, nato dalla cuccia di un cacciatore, il suo nome fu Diana: era speciale, morfologicamente sembrava un setter gordon, la sua ferma era alquanto priva di stile ma aveva una personalità ed un carattere fuori dal comune.

 

 

Da lì iniziai a fare le gare amatoriali di paese con quaglie o starne liberate: mi appassionai sempre più e dopo un anno decidemmo che un frangia lunga in casa non era sufficiente e così, dall’amico Walter, dresseur di professione, comprammo Bonny scelta da me, che, con occhio clinico di una bimba di 9 anni, la scelsi ponendo l’attenzione sugli aspetti fondamentali dello standard di razza: la macchia a forma di pulsante all'attaccatura della coda.

La cagnetta bianco-arancio si sviluppò nei migliori dei modi, tanto che decidemmo di intraprendere il percorso per il conseguimento del titolo di campionessa italiana.

Fa gare su gare, mostre su mostre. Io e mio padre siamo sempre al campo “I Castioni” a vedere e contribuire al suo allenamento. Lì imparo molto da Walter, dal significato dei termini, al comportamento che il setter deve mantenere mentre esegue il turno.

Mi piace, vedere correre i cani, vederli lavorare e sentirmi in qualche modo più “importante” perché, anche se molto rudimentalmente ed in modo poco professionale, so servirne uno quando è in ferma.

 

La mia prima esperienza: Frida

Walter, colse la mia passione e mi affidò Frida, una setterina di 3 anni color bianco-nero.

Ero al settimo cielo, lui me la regalò perchè non poneva molte speranze in quel cane.

Mi dissero che la cagna era ingestibile, correva a casaccio sul campo gara senza ascoltare il minimo comando del conduttore.

A me sinceramente non importava molto, mi bastava presentarmi al giudice tutta fiera con il mio cane e il mio foglio iscrizioni, pronta a divertirmi e a far vedere al pubblico di che pasta ero fatta, anzi, eravamo fatte.

A discapito delle dicerie, io e Frida riuscimmo egregiamente a gareggiare e talvolta vincere anche qualche manifestazione sebbene nella categoria “cacciatori”.

Era una cagna bravissima e avevamo un feeling particolare: quasi mi leggeva nel pensiero, mai una ferma in bianco, mai un rientro di lasè, sempre sul vento… chi l’aveva conosciuta in passato chiedeva se fosse veramente lo stesso cane indisciplinato.

Più gare facevo, più mi innamoravo della razza, feci alcune competizioni di più alto livello anche con Bonny, tecnica e stile impeccabile, corsa “soave”, ferma “pancia a terra” e guidate gattonando erano all’ordine del giorno.

Capii che il setter doveva essere la mia razza ed il primo passo per farlo capire a tutti era iscrivermi alla SIS (Società Italiana Setter) della mia provincia.

A scuola raccontavo fierissima delle ferme e dei punti che faceva la mia Frida e delle giornate passate ad allenarla.

Il tempo l’ha poi portata a provare a diventare mamma ed infine, passando per una gravidanza non portata a termine, ad andare in pensione.

Ma a casa avevo ancora Diana e Bonny, che, nel frattempo, non hanno mai smesso di far divertire mio padre per molti anni, difatti, finita la carriera da agonista anche la bianco-arancio fu messa sul campo venatorio.

 

 

Le due erano cacciatrici nate, ricordo i carnieri ed il sorriso che portava mio papà in viso al ritorno a casa.

A quell’epoca ero ancora molto giovane e, per una questione probabilmente di stereotipi verso le donne-cacciatrici, mi limitavo a qualche toccata e fuga per anatre e raramente in caccia errante… ma ricordiamoci che la passione, se ce l’hai nel sangue, non te la puoi levare da dosso.

Crescendo conobbi il mitico Giuseppe, grande addestratore di bracchi tedeschi. Ricordo che mi fece portare il pluricampione Noà e rimasi impressionata dalla sua enorme stazza.

Anche se non mi attiravano molto quegli enormi “cavalli”, imparai ed imparo tuttora molto dal “Giuse”: dal modo di condurre un cane in gara, al riconoscere le diverse impronte lasciate dai selvatici quando andiamo a caccia.

Compiuti i 18, la mia priorità era quella di prendere la licenza di caccia e seguire le orme dei miei antenati ma gli anni passano e la vita mi portò ad avere altri impegni che mi hanno fatto portare quella priorità in secondo piano per qualche periodo, ma mai ho rinunciato a qualche uscita venatoria con “il vecchio”.

Avere solo due cani da caccia non era più fattibile (sottolineo “da caccia” in quanto, della famiglia fanno parte anche altri cani di altre razze, prevalentemente cani corso), entra a far parte, dal 2010, Tania, bianco-fegato e nel 2017 l’ultimo “fulmine”, Patty. bianco-nero, dato dal nostro amico Walter, prematuramente scomparso.

È il 2019, ho 21 anni e frequento l’università e mi sto per laureare in scienze biologiche con una tesi sulla fitness delle pernici rosse. È ora di riprendere in mano quella passione che stupidamente avevo un po’ represso e tralasciato.

 

 

Inizio ad uscire più frequentemente con papà e Patty, indosso sempre un gillet verde sbiadito, pantaloni del nonno accorciati e camicia della zia di 7 taglie in più ma ciò non mi impedisce di stare al loro passo.

Diana e Bonny sono oramai in pensione, hanno 14 e 13 anni e nel giro di pochi mesi ci lasciano un vuoto immenso, con il ricordo dei loro grandi occhi e delle bellissime giornate passate insieme.

Nel frattempo mi metto in moto e a novembre ho in mano il porto d’armi, papà mi regala due fucili ed una pistola, uno di essi, la Bernardelli Roma 3 cal.20, sarà il “ferro” che utilizzerò nelle mie fredde giornate autunno-invernali nei boschi. A Natale, i miei genitori mi regalano un gillet bellissimo, che inizio ad utilizzare ovunque, sono troppo “gasata”!

Da 2 anni a questa parte, se mio papà va a caccia, io sono nel suo “kit” essenziale, lo seguo sempre, sia da solo che quando esce con i suoi soci, tra cui Franco, Giuseppe ed Antonio.

Andando con loro, che hanno come ausiliari prevalentemente bracchi tedeschi, apprendo moltissime nuove nozioni sulla tecnica di lavoro delle diverse razze di cani ma ciò non fa altro che farmi rimanere sempre più franca sulla mia scelta di quadrupede.

Durante tutta la stagione vedo due cagne cosi uguali ma diverse. Patty è giovane ma si comporta come se da anni andasse a caccia, predilige maggiormente i beccaccini, ha uno spiccato senso pragmatico: se, alle 8:00, è in collina si comporta in un modo, se la si porta, anche solo alle 10:30 dello stesso giorno, in una risaia cambia totalmente atteggiamento.

Mentre Tania è un cane adulto, ha 10 anni, dotata di un ottimo naso, sa scovare anche il più nascosto dei fagiani, è sotto una sua statuaria ferma che ho sparato alla mia prima fagiana.

 

La fiducia di papà

Quel giorno lo ricordo come se fosse ieri, ed un po’ mi vien da ridere: siamo sempre io e mio papà, soli con Tania. Il cane fermo, immobile, papà mi passa il fucile e dice: “tieni, spara te”.

Quella posizione “felina” che ha assunto la cagna mi fa battere il cuore a mille: “è la mia occasione!” penso.

In un batter d’occhio si alza una femmina di fagiano, io punto e sparo. Uno sbaglio che corona un’azione da manuale. Delusa, mi giro verso mio padre e lo vedo ridere.

“Cosa ride?!” penso fra me e me.

“Ma dove hai mirato?” chiese sogghignando lui. “L’ho vista saltare fuori a destra, poi non l’ho più vista e quando l’ho notata non ho fatto tempo a puntarla a dovere perché era dall’altro lato” risposi delusa.

Ebbene, in fin dei conti, non era una, né due, né tre fagiane ma 5!

Poi mi riscattai con Patty, qualche giorno più tardi. Uscita sul Balutin, un isolotto sul fiume Po, io, papà, il Giuse ed Antonio, il suo collega di lavoro, entrambi kuzhaaristi.

Sulla riva sinistra sentiamo cantare un maschio, ci avvicinammo e Patty ci deliziò con una punta meravigliosa, da “cane fatto”.

Ancora una volta papà mi passa il suo “trombone” (così chiamiamo amichevolmente il suo vecchio fucile) con un gesto che contiene in sé tutto l’orgoglio che possa avere un padre nei confronti della figlia, futura cacciatrice, salta fuori l’animale ed in contemporanea spariamo io e Giuseppe, due colpi io ed uno lui… preso!

 

 

Anche Tania aveva i suoi anni, ed un tumore c’è l’ha poi portata via, sono comunque felice di aver potuto condividere anche con lei qualche avventura e porterò sempre con me il suo ricordo.

 

Un nuovo inizio: Brandy

Nel 2020 è arrivata Brandy, il mio primo cane da caccia, ovviamente setter inglese e, senza neanche farlo apposta, anche lei bianco-fegato.

Ha da poco superato i 100 giorni di vita ma ha già imparato i comandi base come il “seduto” ed il “terra”, inoltre noto in lei un forte senso venatorio: ferma tortore, passerotti, gazze e cornacchie.

Cresce e promette bene, ha le caratteristiche per diventare un bravissimo ausiliare, anche se pur piccola e poco stabile, la sua ferma è, e resta per me, una delle più belle tra quelle dei cani da piuma.

Fucile, cartucciera di papà con 5 o 6 buchi in più, gillet, replica fedele del berretto dell’esercito USA comprato a 6 anni al TaV, coltellino compagno di mille avventure, stivali, camicia e pantaloni, sono pronti sul tavolo, accuratamente piegati.

Passo davanti al serraglio a salutare i miei amici, certa delle emozioni che mi regaleranno.

Mi preparo la colazione, bella abbondante, visto che domani mi aspetta una lunga giornata tra i campi.

Vado a letto prestissimo anche se faccio fatica ad addormentarmi, mi sforzo di chiudere gli occhi… le 4:10 sono vicine.

La sveglia non fa in tempo a suonare che mi si presenta in camera mio papà, già tutto vestito, allora, alla velocità della luce, scendo le scale, mentre spalmo la marmellata sui miei pancake,mi preparo il thè e mi infilo maglietta, camicia e pantaloni.

Esco di casa con mezza colazione in bocca, infilo gli stivali e corro dai cani, Patty e Brandy sono li, davanti al cancelletto che ci aspettano abbaiando scalpitanti come se sapessero che il “Primo Giorno” è arrivato.

È la terza stagione per Patty e la prima per Brandy, come che per me, fresca di licenza.

 

 

Mentre siamo in macchina per raggiungere il posto mi immagino: sola tra le piante, quella bellissima coda fa da terminale ad una silhouette bianca, distesa come se fosse un ghepardo in agguato, la sua bocca sbanfa, vedo in Brandy quella voglia di scattare verso la preda per prenderla, ma non lo fa. Sa che deve aspettarmi, vuole aspettarmi.

Mi avvicino, le tocco la nuca ed inizia a gattonare ed è grazie a quel movimento, così naturale e magnifico da osservare, che il mio cuore, come il suo, iniziano a battere all’unisono, come se fosse un’unica anima.

Eccola! La regina si palesa in un volo lento e potente con il suo inconfondibile “paf paf” del rumore d’ali. La colpisco, la cagna si dirige nel luogo di caduta e poco dopo me la ritrovo davanti a me, con il nostro bottino in bocca...

Ritorno con i piedi per terra, smetto di sognare ad occhi aperti, siamo arrivati… padelle o no, è ora di rimboccarci le maniche.

“Sgancia i cani” si sente. Siamo partiti...

 

 

In un bosco, in una risaia, in collina o in golena, questi sono i terreni che ci aspettano, tante giornate passeremo insieme condividendo padelle e carnieri, molte le prime e onorati a tavola i secondi.

Io, donna, esile di struttura ma determinata ed il setter, forte ed elegante per natura, formiamo il binomio conduttore-ausiliare perfetto.

Mai cambierei razza o per lo meno, se dovessi per qualche motivo non far fede alla promessa data, il mio primo amore ed il mio cuore riserveranno un grosso posto per i miei amati frangia lunga.