Il selvatico Beccaccia mi ha sempre attratto e il suo mondo mi ha sempre suscitato curiosità. Spesso mi sono chiesto se esiste un sentimento comune tra i “predatori umani” che le danno la caccia e se la percezione di selvatico per eccellenza e dall’alto valore cinegetico vale per tutti a prescindere dalla nazione dove si risiede.
E bene, da una breve analisi, ne è venuto fuori che il sentire con i “beccacciari” europei è pressoché comune al nostro e in linea con la nostra letteratura in materia; ma con i colleghi d’oltreoceano, invece, non ero riuscito ad instaurare un rapporto di confronto. Tuttavia, alcuni giorni fa, mi sono imbattuto in alcuni interessanti articoli relativi proprio alla beccaccia americana, storia e caccia, scoprendone interessanti punti di vista e curiosità che voglio condividere.
Scopriamo insieme cosa ne pensano i cacciatori americani della loro regina.
Dagli articoli letti in seno al progetto statunitense denominato “Upland”, in cui si studia e si monitora l’habitat e i selvatici stanziali e migratori dell’altipiano americano al fine di salvaguardarli e proteggerli, sembra risultare che la “moda della beccaccia” tra i cacciatori americani sia un po' meno sviluppata rispetto all’Europa, ma che comunque la specie sia sufficientemente conosciuta e cacciata ed anche studiata e monitorata.
Anche se sembra che molti aspetti e segnali di cambiamento nel comportamento siano simili a quanto sta avvenendo da noi. È promotore del progetto e autore degli articoli A.J. Derosa, un cacciatore americano, di origini italiane mi sembra di capire, appassionato cacciatore di piuma.
Lo studio inizia facendo una carrellata di nomignoli che nel corso dei secoli sono stati dati alla beccaccia. Questo aspetto presente solo un valore culturale relativo alla conoscenza e diffusione della specie. Così scopriamo che i soprannomi legati alla beccaccia sono molto più vecchi rispetto ai moderni cacciatori che a lei si dedicano.
La storia biologica della beccaccia americana si pensa risalga all’incirca ad 1 mln di anni fa, sopravvissuta ad almeno due ere glaciali. Il fossile più antico è stato rinvenuto a Marian County, in Florida, e l’esame al carbonio lo data al periodo del Pleistocene. La beccaccia americana (Scolopax minor) ha una storia leggendaria nella cultura americana come risulta dai molti nomi, con cui viene chiamata, e per come compare in racconti, anche tramandati oralmente, davvero interessanti.
Dagli studi effettuati risulta che le beccacce erano fonte di cibo per le popolazioni indigene, dal 1600 in poi furono catturate e cacciate dai coloni europei, fino a diventare uno dei capi di selvaggina preferito dai cacciatori di piuma del 1900.
Durante il percorso di tutto questo arco temporale, la beccaccia è stata soprannominata in diversi modi, lo stesso nome scientifico in latino fu cambiato nel 1957 dall’Unione Americana Ornitologi da “Philohela minor” in “Scolopax minor”.
La “Prima Nazione” che viveva lungo le rotte migratorie dell’est e del centro, conosceva bene la beccaccia. Le prime testimonianze storiche indicano diversi metodi di cattura e caccia di questo selvatico. Nel tentativo di recuperare informazioni storiche però è successo che si cadesse nell’errore di confondere beccaccia e beccaccino, questo soprattutto per una mancanza di conoscenza ornitologica di ci conduceva le ricerche.
Così, i termini “Ojibwa’s padajashkanji e Nispissing’s padjashkaanji” vengono erroneamente tradotti come “artiglio storto” e sono riferiti indistintamente al beccaccino e alla beccaccia.
In molti racconti degli Indiani d’America si trovano molti riferimenti alla specie beccaccia a testimonianza della buona conoscenza degli indigeni verso ogni creatura che popolava il proprio territorio.
I nativi del gruppo Seneca (stanziati a Sud del Lago Ontario), la indicavano con il termine “no Dzahgwe” letteralmente “lifts the pot” (alza la pentola).
Nel libro scritto da Guy de la Valdrene, “Macking Game: En Essay on Woodcock” (1990), viene riportato che “Gli Indiani Seneca credevano che il Creatore avesse fatto le beccacce dalle parti rimanenti di altri uccelli, e se questo fosse vero, dicevano, il suo cuore dovrebbe essere quello di un aquila, così è grande e pieno di quell’unico coraggio necessario per girovagare in solitudine tra le misteriose foreste del suo continente”.
Nel 1897 il libro sui “Miti degli Cherokee” riporta che alcuni guerrieri hanno una pozione magica che gli consente di cambiare aspetto a loro piacimento, in modo da sottrarsi ai nemici. Scalando un albero cambiano il loro aspetto in una beccaccia di palude (beccaccino?), che con un grido apre le ali e vola via verso l’altra sponda del fiume, dove riprendono la propria forma originale e vanno verso il loro insediamento”.
Gli indiani Cree (stanziati tra Canada e Stati Uniti) chiamano le beccacce “papakapittesis” o “Little speckled creatures” (piccole creature maculate)
Particolarità invece per gli indiani Chpeewa, nella loro struttura grammaticale, si rivolgono alla beccaccia allo stesso modo in cui si rivolgono ad un fratello o ad una sorella.
Gli Indiani Abenaki, i veri proprietari della maggior parte del territorio settentrionale del New England, chiamano le beccacce “uccelli sotto le foglie” (Nagwibagw sibs o under leaf birds).
In epoca più recente, i “nuovi americani” non si sono risparmiati riguardo ai soprannomi dati alla specie.
In un testo del 1835 di John Audubon viene menzionato che la beccaccia è soprannominata “Bog sucker” (ventosa di palude?). Conosciuta anche con il soprannome di “Labrador Twister” probabilmente per le sue performance aeree nei cieli primaverili per la Croule.
Ma il soprannome più conosciuto e diffuso tra i cacciatori di piuma ancora oggi è “Timberdoodle” così come viene riportato già nel 1839 da Frank Forester sul “American Turf registry and Sporting magazine” dove dice di aver cacciato nove beccacce (timberdoodle appunto) e cinque quaglie, sbagliando solo un colpo! Mentre George Bird Evans sostiene che questo strano appellativo di Timberdoodle a un selvatico così prezioso, può averlo dato solo un non cacciatore!
Il soprannome più romantico però è quello che gli ha dato lo scrittore Burton Spiller che nel suo libro Grouse Feathers (1935) chiama le beccacce “Little Russet Feller” (ragazzino color ruggine).
Stando a quanto riportato nella ricerca effettuata all’interno dell’Upland Project in questo areale, appunto, la regina degli uccelli da caccia rimane sicuramente la “ruffed grouse”, ma solo la beccaccia ha questa panoramica di soprannomi che rimangono a testimoniare la sua unicità come specie.
L’attenzione venatoria verso la beccaccia negli ultimi anni è aumentata per due serie di motivi:
Ma cosa rappresenta oggi la beccaccia americana per i cacciatori della costa est degli Stati Uniti? Viene definita addirittura come il livello base per il cacciatore che intende divenire un vero cacciatore dell’altipiano, anche se alla fine la caccia allo scolopacide si rivela ricca di emozioni per il cacciatore che cerca sè stesso sperduto sugli altipiani in compagnia del suo fidato cane. Si potrebbe avere qualche difficoltà nel cercare di comprendere in quale habitat cercarla, ma alla fine non servono conoscenze etologiche troppo avanzate basta andare su e giù per i boschi.
Munizioni poco pesanti e dispersanti, canne cilindriche, vestiario comodo ma resistente alle spine meglio se ad alta visibilità. Considerando l’ambiente molto umido in cui vive la beccaccia, sarà meglio avere degli stivali in gomma rispetto a quelli in cuoio.
La numerazione del piombo più comune per questa caccia, va dal 7.5 al 10, ma Derosa ci svela che è molto più propenso ad utilizzare munizioni in acciaio con piombo 7.
Tra i calibri più utilizzati il 20 e l’intramontabile 12, anche se qualcuno inizia a cacciare con i poco utilizzati 16 e 28 fino al 410 come sfida con se stessi. Il numero massimo di colpi consentiti è di 3.
Tra le razze di cani da utilizzare si può scegliere tra quelle da punta o tra i retriever; anche se il più indicato è forse il Cocker Spaniel. Ma alla fine si sceglierà la razza da piuma che più piace. In fin dei conti la selvaggina in questione è poco propensa a pedinare e tiene molto la ferma (sic!), anche se negli ultimi anni sembra che il comportamento sia cambiato notevolmente, niente di paragonabile alle grouse o ai fagiani delle Uplands per intenderci, però pare che la beccaccia americana abbia preso a fare lunghe pedinate una volta avvertito il pericolo del cacciatore. Da registrare l’interessante tendenza nell’utilizzo del Bracco Italiano nella caccia alla beccaccia e alle prede di piuma in generale, settore questo, intorno a cui gira un grande interesse del mondo venatorio statunitense.
Alcuni cacciano la beccaccia senza cane, ebbene sì! Non è blasfemia ma una delle tecniche utilizzate che consiste nel girovagare per i luoghi di pastura e sosta sperando di vederla saltare fuori, impegnando il cacciatore in un tiro inaspettato e istintivo. Molto più controversa, invece, è la caccia alla posta. Molti, forse a ragione, la considerano non sportiva. Infatti, pur se consentita legalmente, questa pratica rimane sempre molto dubbia dal punto di vista etico e della sostenibilità. Come cacciatori, dobbiamo sempre prestare attenzione alle conseguenze che la caccia alla posta determinano sul lungo termine e all’impatto sulle future popolazioni di beccacce.
Le linee di migrazione della beccaccia sono essenzialmente due:
Ora però sarebbe bene tenere in considerazione che queste linee migratorie sono state individuate e tracciate dagli esseri umani (mentre le beccacce ne ignorano l’esistenza), così in recenti studi condotti dal “Servizio nazionale per la pesca e la selvaggina” e dalla “Società Americana della Beccaccia” è emerso che gli uccelli non seguono in perpendicolare le linee, ma spessissimo le intersecano incrociando le direttrici individuate.
Così, l’unico dato certo è che le regioni del Nord (parliamo di Canada, stati del Midwest e parte del New England) rappresentano per la beccaccia la sua “residenza” abituale e le regioni del Sud come Texas e Luisiana sono aree di svernamento, che vengono raggiunte a seguito delle condizioni climatiche e del congelamento del suolo nelle regioni settentrionali. Tutti gli stati che si trovano collocati lungo questa traiettoria, sono considerati come “Luoghi di sosta” più o meno breve.
Lo chef Hank Show, specializzato nel cucinare selvaggina proveniente dalle Uplands, sottolinea quanto ottima sia la carne di beccaccia, che molti poco apprezzano.
Il segreto è la frollatura che deve avvenire in frigo per alcuni giorni, lasciando il capo con penne e interiora. Cucinarla è poi abbastanza semplice, il sentore di terra che ha la carne, la rende particolare e si esalta se unita a funghi, mele o mirtilli. Si può anche avvolgere nel bacon, ma poi il suo gusto sarà di bacon, appunto. Le zampe vengono spesse gettate, ma il consiglio è di cucinarle attaccate alle cosce che rappresentano la parte migliore del selvatico.
Nonostante un declino della popolazione pari all’1%, la specie è considerata stabile dal punto di vista venatorio e può essere cacciata in tutta tranquillità nei periodi e negli stati ove è consentito. Sarà compito dei cacciatori fare ognuno la propria parte per la tutela e salvaguardia degli habitat e del selvatico.
In ambito scientifico, tuttavia, si stanno facendo delle proiezioni sui futuri scenari, partendo da questi dati che indicano un leggera flessione, relativamente al cambiamento climatico che potrebbe influire negativamente sulla diffusione della beccaccia e sui suoi comportamenti riproduttivi e questo rappresenterebbe una pessima notizia per tutti gli amanti della regina americana.
Che dire in conclusione? Non ci vengono forniti dati circa il numero di capi prelevati, sesso od età, né di quante licenze vengono rilasciate ogni anno. Tuttavia, pur cambiando i luoghi e gli stati, ci sembra di cogliere che il sentire comune dei veri cacciatori rimane uguale, cioè di rispetto verso questo selvatico e voglia di conservarlo integro per il suo valore naturale e cinegetico!
Testo di Saro Calvo - Articoli originali di A.J.Derosa – foto di: Kailee Hale Joyner dal North Carolina, ausiliare Bracco Italiano bianco arancio Pascal dell’allevamento Wiskey Hills del Sud Carolina; Linda Paddock dal Wisconsin con il suo Bracco Italiano roano Stella dell’allevamento Black Diamond.