L’emozione comincia già al primo mattino della giornata di caccia, la sveglia è una inutile soluzione al timore di non svegliarsi...
In realtà svegli lo siamo già da oltre un’ora, e la sveglia dalle lancette luminescenti l’abbiamo già trovata nel buio almeno 4-5 volte, è presto, ma ormai siamo sveglissimi e ci alziamo.
In cucina ritroviamo ogni cosa, tutto è già pronto, ordinato e predisposto da ieri sera, i fucili nel fodero doppio, la giacca pesante, la licenza, un sacchetto con una mela e due pacchetti di crackers, una piccola scatoletta di carne, il coltello svizzero e la pinza multiuso Leatherman.
L’acqua bolle nel bricco, versiamo il bollente liquido sulla bustina del the e ci sediamo al tavolo di cucina, tempo ce n’è e la preparazione della cartucciera, è un rito irrinunciabile dell’ultimo momento, da sempre, fin dall’inizio si fa sul tavolo della colazione, mentre si sorseggia il the aspro o il caffè bollente e si mangia un biscotto secco, pur con poca fame.
È un momento magico, intenso perché già ci si immagina la giornata, si ripongono tante belle speranze in quei gesti, si inizia a pregustare l’emozione della nuova cacciata della nuova occasione per aggiungere una pagina ricca ed indimenticabile alla nostra memoria, un attimo, quasi un quadro in più alla parete del tempo, da guardare nei momenti difficili.
La nostra bretoncina Lea è lì con noi, non è più un cucciolone... sente, capisce, sa che stavolta lei non verrà, ma questi attimi da sempre sono anche suoi, così sale sulla nostra gamba e spinge il musetto sotto la nostra ascella fino a sbucare sul piano del tavolo, per guardare, cosa stiamo facendo.
Mentre lei guarda le nostre dita giocare con le sottili cartucce colorate del calibro 28, meditiamo, è pensando alle varie piante di buttata ed alla distanza di tiro, che si ordinano cartucce, pesanti e leggere, la misura del piombo grosso, medio o fine, indicata da quel numero sul cartoncino di chiusura col suo fascino, legato alle varie specie che immaginiamo potranno venire sulla buttata.
Non sono mai abbastanza le cartucce, temiamo siano poche, perché le nostre previsioni sono rosee e la speranza infinita ed è proprio il desiderio di una giornata memorabile ci dà la carica mentre le nostre creature prese dai mucchietti sul tavolo vanno nelle celle della vecchia e vissuta cartucciera di cuoio, inserendole nei loro alveoli di pelle, ormai un poco laschi, e mentre lo facciamo pensiamo di nuovo alla incipiente mattinata, all’alba, al concerto dei nostri richiami ed al giorno che nasce, di nuova luce, ad Oriente.
All’uscita di casa, mentre l’aria fresca ci pizzica la pelle ancora calda, il primo sguardo è al cielo, cercando quelle lucide stelle che fanno presagire una bella giornata.
Ci accertiamo non ci sia vento forte…non nebbia.
Se tutto è perfetto, se gli ordini sono buoni, la speranza cresce alla pari con l’immaginazione.
Un ultimo sguardo a cercare Lui, il Gigante cacciatore, il nostro protettore e tutore, Orione.
L’entusiasmo, pur dopo mezzo secolo di vita venatoria già vissuta, è già in noi non tarda ad arrivare.
Si carica l’automobile di ogni cosa e si sale solo dopo aver caricato con cura i fasci delle gabbie, in cui già sentiamo muoversi i nostri richiami, un ultimo sguardo al cielo ed alle cime degli alberi.
Il tempo è buono, si parte.
Sulla strada sterrata che arriva al capanno, mentre l’emozione sale, cerchiamo sulla carreggiata qualche segno che riteniamo di buon auspicio; un tordo, un altro, sono lì tra la polvere al buio in attesa del primo chiarore, per “spollare”.
È positivo tutto questo, dicevano i vecchi capannisti che di uccelli vederne a buio tra la polvere dello stradello è un “buon segno”, significa che la migrazione è iniziata ed il passo nella notte è stato forte, col buio, ne sono arrivati tanti ed ora posati attendono la prima luce per posarsi al sicuro e mangiare e dormire.
Il sentiero ripido e armato da grossi sassi e rocce antiche è terribile, la macchina mette a dura prova gli ammortizzatori ed i freni, ma la comodità del non dover scarpinare a lungo, carichi come muli, fa dimenticare presto questo scossare del mezzo.
Siamo arrivati davanti al capanno, dal finestrino le cime della buttata spiccano contro la notte, che ora si rischiara dei primi lumi del nuovo giorno, è incredibile come quel chiarore sembri vivo, come cresca e tocchi tutto quanto abbiamo intorno, accarezzando anche i volti.
E’ l’alba, diceva mio padre, abbraccia ogni cosa mentre allunga le braccia e si stira e con le sue lunghe dita tocca ogni cosa mentre si desta e si stiracchia, ma andiamo, è l’ora di tendere.
Il fascio delle gabbie sollevato dal bagagliaio è deposto con cura nello spiazzo, quella massa di gabbie fasciate manda i rumori e gli odori dei richiami ormai inquieti, i richiami controllati al chiarore della piccola pila tascabile si appendono con cura ai rispettivi chiodi, le gabbie si controlla siano chiuse e si coprono con una fraschetta; un ultimo sguardo ci conferma che tutto è a posto, e si entra nel capanno.
Il grande concerto che ben conosciamo sta per tirare le prime battute, gli uccelli in sordina, come musicisti in apprensione provano gli ultimi accordi.
Ora nel buio del capanno la vista è meno acuta, si cerca al tatto, il silenzio è assoluto, scoperta la feritoia abbassando la ribaltina ecco le piante della buttata, ormai sono nitide e risaltano bene sull’alba, ogni cosa è al suo posto.
Finalmente arriva il primo verso, il vecchio merlo dà inizio al giorno aprendo i canti, inizia il concerto, un’emozione che non si dimentica, che ci lega per sempre a questa caccia a questa tradizione, a questo modo di vivere, che ci fa giurare a noi stessi che verremo qui sempre, in ogni caso.
Mentre disponiamo le cartucce in ordine sulla mensola, mentre carichiamo i due fucili e li sistemiamo ben saldi agli appoggi, i richiami strisciano e verseggiano, gli uccelli li sentono e si incuriosiscono di quelle note d’amore così tarde.
Per primi arrivano quelli nuovi della zona, i meno smaliziati.
Nell’ordine si attendono a buio, prima i tordi ed i merli, poi a luce già fatta, le cesene e i sasselli.
Un’ombra è arrivata sul carpino alla nostra destra, a 25 metri, è una merla, ora è immobile, ma abbiamo visto bene quella forma scura arrivare e posarsi, la sagoma si muove, ora è evidente.
Il tronchino Beretta 28 entra in scena, la detonazione secca e la poca fiamma confermano che le nostre cartucce “tagliano”.
Schiarisce ed un canterino, il sassello, scende come un fulmine schivando la pianta più alta e si butta tra la polvere pochi metri davanti al capanno, nel chiaro uniforme della polvere lo vediamo muovere la testa, è il vecchio 8 Flobert che stavolta con un modesto “ciack” fa il suo lavoro.
I tordi bottacci a più riprese vengono ai canti d’amore dei consimili, con i tordi ed i merli funzionano bene le “stanghe” o “pertiche”, i lunghi rami di carpino, tesi orizzontali bassi ed a mezza altezza, tra i tronchi della buttata; le prede là sopra si vedono bene e cadono secche, il mazzo si impingua, la nostra soddisfazione è la ricompensa di un anno di sacrifici e di attesa, di speranze che questa volta davvero si sono realizzate.
E’ ancora presto, il sole non fa ancora capolino e già il mazzo è una meravigliosa realtà, lo guardiamo spesso perché ne siamo orgogliosi, speriamo di sparare ancora…
e l’inconfondibile sapore di questa caccia ci tormenta, di piacere, di speranza, di passione.
Gli spari si sono ormai diradati, troppo, è duro dirlo, ma la giornata pur ottima è finita, si raccolgono le ultime due prede, sotto ogni pianta si scorgono le piume, ora le gabbie.
Terminato di raccogliere le gabbie, chiuso il capanno, raccolto il mazzo, messi sulla spalla i fucili, ci soffermiamo a meditare davanti a questo luogo bellissimo, in cui la nostra vita ha trovato in buona parte la sua essenza, dove lo spirito, si nutre di emozione e speranza.
Senza tutto questo, non sarebbe la stessa vita, noi non saremmo noi stessi, non come siamo.
Tutto termina al ritorno a casa, la gioia di mostrare le prede ai nostri cari, farli annusare alla nostra fedelissima compagna di caccia e di vita.
Infine l’ultimo sforzo...
In giardino, davanti all’acquaio si tolgono dal fascio e si governano le gabbie con acqua fresca, nuovo cibo pulito e fresco nelle mangiatoie, si puliscono i fondi delle gabbie col coltello girato, e si ripongono ai loro rispettivi ganci.
La mente va già al domani, alla prossima uscita, tutto riparte e ricomincia da capo… ormai accade da tutta la nostra vita.