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Caccia alla coturnice in Italia: guida pratica

Scritto da Saro Calvo | 31-gen-2020 15.37.51

La coturnice, un animale impastato con la stessa essenza dei luoghi in cui vive, plasmato e forgiato in quell’ambiente. La montagna è il suo regno, gli anfratti e i luoghi ripidi le sue fortezze. In grado di pedinare, sottraendosi ai cani, per centinaia di metri e di tuffarsi in dirupi che alla sola vista ti fanno perdere l’equilibrio.

La salita è dura ed è solo l’inizio della lunga giornata che attende il coturnat e il suo ausiliare ma anche loro sono fatti di fibra forte.

La Coturnice (Alectoris Graeca) diffusa in tutta Europa registra una maggiore presenza soprattutto in Italia e nei Balcani. Nel nostro paese è presente un pò diffusamente su tutto l’arco alpino e appenninico, la troviamo presente anche in Sicilia con la sottospecie Whitakery. Il suo areale di nidificazione va da poche decine di metri s.l.m. a 2.600 metri circa.

Oggi considerata specie in declino a causa dell’abbandono delle attività pastorali in quota e ad una screanzata antropizzazione e presenza turistica nei luoghi di nidificazione, la sua presenza viene rinvenuta a macchia di leopardo.

I mutamenti climatici non sono da meno nel condizionare la sua presenza sul territorio, infatti i pulcini che posseggono una scarsa capacità termoregolatrice soffrono molto le forti piogge e i freddi improvvisi, condizioni a cui assistiamo sempre di più nei mesi clou della nidificazione e della schiusa delle uova che avviene in tarda primavera.

 

 

La mattina del coturnat è diversa perché il suo animo è diverso. Inizia quando è ancora notte fonda e tutto è avvolto nel silenzio, la luce in cucina, più spesso solo della cappa, rischiara appena l’attrezzatura sistemata la sera prima sul tavolo.

Tra i resti di una colazione veloce ma consistente, la cartucciera con le munizioni selezionate una ad una il giorno prima, l’amata arma nel fodero, uno zainetto con una bottiglia d’acqua e una merenda per ritemprare le energie e una anche per l’amico a quattro zampe.

Il corpo è ancora a casa ma lo spirito, più che la mente, già vaga sulle alture, aleggiando sulle valli e sui crepacci, tra cespugli, edere e giuncaie, seguendo i sentieri memorizzati, tramandati dagli anni e dall’esperienza.

L’alba vista dalla montagna, colora di un senso diverso i contorni di tutto ciò che sta giù, in lontananza, nei paesi, nelle case ancora addormentate, è una promessa che sta tutta nell’oscurità che cede gradatamente il passo alla luce. È in quegli attimi che la natura si sveglia e il coturnat attende di ascoltare quel suono, il metallico verso della coturnice.

Inizia appena a rischiarare che già la strada percorsa è tanta, ed ora in solitario silenzio, trattenendo il caro e fidato Fido, si ascolta il vento, si assaporano gli odori dei monti fatti di rosmarino, menta selvatica e timo.

La sua posizione è eretta, in prossimità di un costone scosceso, a metà strada tra la vetta e le pendici, attende di ascoltare il canto delle coturnici, il cerleccare del maschio che saluta il nuovo giorno mentre le femmine gli si stringono intorno, per capire quale sia la zona giusta e da quale parte iniziare a impostare la caccia.

Il verso secco arriva improvviso, ma per il coturnat è una melodia, prima mesto, appena un chioccolio, sembra un merlo; anche Fido rizza le orecchie, si acuisce l’udito umano e animale trattenendo il respiro, stavolta il canto è più deciso provenendo da due punti, ci sono due brigate. Il coturnat guarda soddisfatto l’ausiliare che scodinzola gioioso e appena la luce lo consente, via, si parte per la sfida alla regina delle montagne.

 

 

L’ausiliare corre zigzagando e facendo spesso rotolare detriti al suo passaggio, il suo petto è un mantice che pompa aria con una regolarità e quantità meccanica, mentre il cacciatore gli tiene dietro, osservando il terreno alla ricerca di segnali e centellinando passi ed energie.

Il sole sorge, la luce è più decisa, adesso si trovano all’altezza dei luoghi da dove proveniva il canto, i muscoli dei glutei e delle cosce sono gonfi così come quelli dei polpacci. 60 forse 70 metri più in su Fido cambia passo, uno scarto laterale improvviso e naso al vento, ha colto un odore, una presenza invisibile, una molecola odorosa tra milioni che gli giungono e che innesca il suo istinto primordiale traducendosi in apoteosi per il cacciatore.

È il momento tanto atteso, Fido gattona, ha avventato l’usta sembra legato a un binario, altri 10 metri più sopra ed è fermo.

Il cuore sembra voler uscire dal torace, il sudore sgorga a fiotti, la doppietta passa dalla spalla alle mani, ci si accerta se la sicura sia tolta, 40 metri, Fido è ancora fermo, azzarda ancora un passo e qualche metro davanti a lui quattro cotorne si materializzano col loro frullo portentoso e si tuffano ondeggiando nel vuoto, troppo lontane per azzardare il colpo.

 

 

Ormai è fatta, le prime si sono rimesse 400, 500 metri più in basso sull’orlo del precipizio, ma una deve essere rimasta, ce n’è sempre una che è la più restia a partire.

Asciuga il sudore riprende fiato e invita alla calma Fido che rinizia i suoi lacet sul terreno scosceso e un’ottantina di metri più in la va in emanazione, breve guidata col collo teso, naso a 30 centimetri dal terreno, occhi avidi alla ricerca della preda e alla fine stoccata a girare verso il basso con ferma semi rovesciata, poi adagio, allinea il corpo con la testa.

Da dietro è uno spettacolo osservarlo ma il tempo per goderselo è davvero poco, a questo punto il coturnat decide di tagliare la strada verso il basso al cotorno, perché sicuramente di pedina vorrà allontanarsi a distanza di sicurezza e poi involarsi, invece lo deve stringere tra se e il cane.

Intanto il cacciatore è arrivato all’altezza della spalla di Fido, tenendosi venti metri più in basso, mentre giunchi e pietre lo fanno incespicare e “madonnare”, avanza piano adesso con gli occhi che si muovono rapaci e veloci da Fido al terreno davanti perché sa che da un momento all’altro una di quelle pietre prenderà forma rompendo la quiete e la tensione con un frullo.

La ferma è solidissima, non c’è possibilità di errore, la regina della montagna è tra i giunchi accovacciata in qualche rientranza, appena tenterà di muoversi Fido le darà addosso.

 

 

Non finisce di fare la valutazione che l’ausiliare strappa di 7/8 metri scendendo verso di lui e rimettendosi in ferma stavolta con il naso verso la cima, non ci aveva fatto caso, c’è proprio lì un pianoro che conclude con uno sperone, una piattaforma di lancio eccezionale.

Fido sale sul pianoro, il coturnat capisce di essere troppo in basso per poter risalire verso il pianoro, decide pertanto di andare più avanti, proverà ad intercettare la coturnice quando spiccherà il volo saltando dallo sperone non così alto, ed è in quell’istante che il fragoroso frullo lo coglie e un palla grigia, con qualche sfumatura rossiccia e dorata, si tuffa nel vuoto passandogli davanti la faccia, la doppietta è già in spalla, il cotorno avrà percorso già 25 metri ma la carica di piombo del 7 viaggia più veloce e lo anticipa sciupandone il volo, scacco al re, visti gli importanti speroni sulle zampe rosse, Fido riporta fiero e soddisfatto sbuffando dal naso.

 

 

Quale cane scegliere per la caccia alla coturnice

Cercando di indicare una razza più predisposta per la caccia alla coturnice, si aprirebbe un dibatto senza fine. Pertanto la razza a cui ci si affida per cacciare le coturnici deve essere quella che meglio si adatta alle esigenza del cacciatore e al suo ideale di cane da coturnice.

Anche perché, considerando la peculiarità e le difficoltà di questa caccia, si ritiene che la buona riuscita dell’ausiliare non sia tanto legato alla razza, a cui esso appartiene, ma dipenda essenzialmente dal soggetto che si inizia a questo tipo di caccia e alle sue innate caratteristiche genetiche.

Diciamo che il cane da coturnice deve essere un cane particolare, dotato di forti capacità olfattive, deve possedere la dote innata del collegamento col padrone, deve possedere la capacità di valutare le situazioni e di interpretare comportamento del selvatico e intenzioni, deve essere un abile recuperatore.

Per ultima cosa, ma non meno importante, deve possedere un fisico omogeneo e qualità atletiche formidabili in grado di supportare tutte le altre qualità cinegenetiche.

Molti sostengono che i migliori cani per la montagna siano gli inglesi, ma non volendo scendere nel particolare si ritiene che anche i continentali non ultimi i nostri bracchi e spinoni, abbiano nel loro DNA le giuste qualità per eccellere in questa caccia specialistica e per dare al cacciatore che li accompagna grandi soddisfazioni.

 

 

Purtroppo oggi grossa parte dell’intellighenzia venatoria e cinofila è convinta che le qualità del cane si misurino con le centinaia di metri che riesce a coprire sul terreno e che tale caratteristica sia prerogativa dei soli inglesi, tale aspetto è sicuramente da attenzionare e ben valutare perché in tali affermazioni non c’è molta veridicità, ma non è neanche tutta menzogna.

Certamente è molto esaltante possedere degli ausiliari che hanno un raggio d’azione, intorno al cacciatore, di centinaia di metri di terreno galoppando come se non ci fosse un domani; nella caccia alla coturnice effettivamente, visti gli spazi ampi in cui si esercita, è importante possedere ausiliari che riescano a coprire il maggior terreno possibile.

Questi, forse, avranno maggiore possibilità di incontro ma potrebbero averne anche meno (molto dipende dalle doti olfattive del soggetto) e in termini di resa venatoria non saprei dire se un cane con tali caratteristiche sia più valido di un ausiliare che rimane collegato col proprio padrone, perché in fin dei conti un coturnat solitario, con un ausiliare che viaggia a trecento metri, potrebbe anche chiedersi se è uscito a caccia da solo, o se la “sua caccia” consiste solo nell’andare alla ricerca del cane in ferma sperando di arrivare in tempo per poter provare a incarnierare qualche preda. Inoltre, un cane in ferma ad una distanza di 200 metri in montagna, dove ogni metro è una salita spacca gambe, direi che si traduca in un divario ragguardevole, se si vuole raggiungere il proprio ausiliare in ferma e provare a catturare qualche coturnice.

Pertanto, personalmente, preferisco di gran lunga in questa caccia, il cane che rimane collegato col padrone che copre una generosa parte del terreno senza strafare e che consenta anche al cacciatore di farsi raggiungere, una volta in ferma, con una certa facilità.

Personalmente, risottolineo, preferisco il cane che mi fa godere del suo lavoro, senza starmi tra i piedi si intende, e che mi fa palpitare il cuore quando mi fa capire che lì, proprio lì vicino ci potrebbero essere una, cinque, dieci coturnici pronte a frullare.

Pertanto, in conclusione, a prescindere dalla razza che si vuole scegliere o a cui si è più propensi, direi che il cane da coturnice deve possedere queste imprescindibili qualità: intelligenza e collegamento (sono le doti che metterei prima di tutte), passione, fondo e cerca ampia, stile in base agli standard di razza, andatura spigliata ed energica, recupero e riporto, doti olfattive adeguate.

 

 

Fucili, strozzature e cartucce per la caccia alla coturnice in montagna

L’esperienza è tutto in questa caccia. Negli anni il coturnat ne ha vissute tante di esperienze e l’arma e le munizioni che oggi utilizza sono la somma di quel vissuto, il miglior compromesso tra etica venatoria e buon risultato. Ne ha incontrate parecchie di persone che si sono dedicate alla caccia alla coturnice ed ognuno con la propria teoria e ricetta su fucili e munizioni.

Il calibro per eccellenza sarà sicuramente il 12, il più usato, ma non è l’unico. In realtà tutti i calibri sono buoni ed efficaci dipende sempre dall’uso che ne fa il cacciatore, dalla sua impostazione e dal modo in cui va a caccia e soprattutto se va a caccia per mettere alla prova se stesso, valutandosi sulla base della qualità o per gareggiare con gli altri cacciatori misurando il tempo impiegato a caccia con la quantità.

 

 

Al di là del calibro, pertanto, considerando che si effettuano tiri medio lunghi sarà opportuno avere fucili con canne da 67 cm minimo. Il tipo di fucile da impiegare sarà quello con cui si ha più dimestichezza, andrà bene pertanto il semiautomatico, il cui terzo colpo non ci avvantaggia sovente in quanto le coturnici una volta involate raggiungono rapidamente la distanza di sicurezza, con una strozzatura da 2 **, utile per mantenere le rosate compatte.

Il sovrapposto risulta essere un’ottima arma in questa caccia perché l’uso delle due strozzature **/* o ***/*, consente di optare, in base alla distanza del frullo, con quale sparare; per la tipologia del selvatico e per il suo modo di volare, inoltre, il sovrapposto agevola il cacciatore specialmente al momento dell’involo o se si trova in una posizione più bassa rispetto al volo del selvatico. La doppietta unisce ai vantaggi del sovrapposto, la migliore visuale di tiro specialmente sui traversoni a spiovere che nella caccia alla coturnice sono tiri molto frequenti.

 

La coturnice, pur avendo una superficie corporale generosa soggetta ad essere colpita in più parti, è un animale che ha una forte resistenza alle ferite grazie alla muscolatura ben sviluppata, al piumaggio piuttosto folto, all’ossatura molto resistente e alla forte vitalità che contraddistingue la specie. Perciò, se non viene colpita in punti vitali non è facile da abbattere, per questo è importante non azzardare mai la fucilata quando si ritiene che il selvatico sia fuori portata o al limite di efficacia della nostra arma e munizione.

Nella caccia alla coturnice è necessario l’utilizzo di munizioni che sviluppino velocità e capacità di impatto importanti in grado di fermare il volo del selvatico “hic et nunc”, cioè deve trattarsi di una munizione che possieda un effetto altamente lesivo ed istantaneo penetrando in profondità e riuscendo a colpire i punti vitali di collo e petto, perché un effetto lesivo più lento che ritarda il decesso di pochi attimi potrebbe tradursi anche nella perdita del capo che avrà ancora quel guizzo vitale sufficiente per tuffarsi in un crepaccio inaccessibile.

 

 

Ampia è la scelta tra il ventaglio dei prodotti offerti dalle case di produzione. Si può optare per una munizione piombo 7 o 7,5 di prima canna e una con il 6 di seconda canna, abbinate a strozzature sempre e tassativamente massime. In questo modo si potranno ottenere rosate perfettamente guarnite.

Nella mia esperienza venatoria nella caccia alla coturnice ho utilizzato tanto il semiautomatico cal.12 con canna 67 ** utilizzando in prima canna una buona cartuccia piombo 7 34 grammi, quanto il sovrapposto calibro 28 canne 71 ***/* utilizzando di prima canna munizioni piombo 6 e seconda canna munizioni piombo 5 24 grammi o 5,5 26 grammi come l’Extra Rossa della Baschieri & Pellagri.

Utilizzando la seconda tipologia di fucile si è pratica una forma di caccia molto più attiva che ha portato il cacciatore a seguire molto più da vicino l’azione di cerca del cane, specialmente appena accennava di aver rilevato una qualche traccia, non si sono azzardati tiri al limite, ma solamente entro i 25/30 metri realizzando così dei buoni risultati.

 

 

Conclusione

In conclusione posso solo dire che si tratta di una caccia altamente specialistica che lascia poco spazio all’approssimazione.

Ed è giusto che rimanga tale visto il valore intrinseco del selvatico che dovrebbe essere ancora più valorizzato e attenzionato da cacciatori, associazioni, ATC e istituzioni, i primi rispettandolo e le seconde mettendo in atto una serie di azioni di maggiore tutela e reale monitoraggio della consistenza della specie, valutando la possibilità di integrare areali o brigate sguarnite con soggetti provenienti da allevamenti seri e selettivi che possano essere facilmente inseriti in natura, in modo da rimpinguare adeguatamente le popolazioni di questo splendido selvatico.

Se fossi nelle possibilità di poter decidere in merito alle politiche venatorie, punterei moltissimo su questa specie perché ritengo che molto del futuro della caccia cinofila passerà obbligatoriamente da questo selvatico e la sopravvivenza di una è legata alla sopravvivenza dell’altro, soprattutto se è vero, come sembra, che i cambiamenti climatici determineranno e influenzeranno sempre più la presenza o l’assenza di quelle specie migratorie sulle quali si è basata l’attività venatoria, e tutto il mondo che vi gira intorno, fino ad oggi, parlo di quaglie, beccacce e beccaccini.