Avevo iniziato un settembre fantastico, dal punto di vista venatorio. A partire dall'apertura fin quasi alla fine del mese mi ero dedicato principalmente alla caccia alla quaglia.
Era da tanto tempo che non si riscontrava sul mio territorio una tale consistenza di questo piccolo selvatico migratore, forse per le condizioni climatiche, forse per le colture che avevano iniziato a mutare prediligendo coltivazione di grano alle piantagioni di mais, o più semplicemente perché avevo avuto la fortuna di avere tra le mani un bracco italiano rivelatosi soggetto eccezionale per questa ed altre forme di caccia, la mia capacità di insediare il piccolo gallinaceo era diventata strabiliante e molto appagante dal punto di vista venatorio e personale.
E nel mio piccolo paese la voce si diffuse abbastanza velocemente, nonostante io andassi a caccia da solo.
Il venerdì sera la telefonata arrivò inaspettata, ma non troppo. Si era sul finire di settembre e come detto le voci sulle doti del mio ausiliare, Zeiro della Croccia, si erano molto diffuse. Molti, naturalmente, non ci credevano ma non mi interessava far cambiare loro idea o convincerli del contrario.
Così continuavo a frequentare sempre le zone più isolate e non ostentavo mai i miei carnieri. Però capitava che anche in lontananza qualcuno mi incrociasse e rimanesse a guardare come il bracco trovava quaglie, magari su un pezzo di terreno dove erano già passati. Ritornando alla telefonata, comunque, avevo capito che la curiosità montava e l’amico, che mi aveva chiamato, era il tramite per confermare o negare le voci in giro.
Dopo i primi convenevoli mi chiede come fosse andata fin lì la stagione venatoria e se fossi uscito a quaglie l’indomani perché a lui, in caso, sarebbe piaciuto venire con me. Benché restio ad accompagnarmi a caccia con persone nuove, con lui feci un’eccezione perché sapevo essere un buon fucile, così gli diedi appuntamento per l’indomani alle 6.
La storia del mio bracco incuriosiva molti, anche perché, alle mie latitudini, questi continentali erano poco frequenti. Effettivamente l’acquisto era stato un mio capriccio, anche mio padre non ne era molto convinto essendo un appassionato inglesista al massimo kurzharista.
E infatti, quando arrivò Zeiro a casa, avevamo un pointer, Fox. Quest’ultimo era un cane formidabile, forse il più forte che abbia mai visto, nella caccia alle beccacce, le scovava nei punti più impensabili e le fermava a distanze incredibili con azioni spettacolari e mozzafiato, unica pecca che una volta morte, perdeva ogni interesse e non le recuperava.
Non solo, le quaglie le disdegnava proprio, appena avventava l’usta ci si tuffava sopra, le faceva partire con una zampata e poi le inseguiva.
Però devo dire che Zeiro, grazie a Fox, di selvaggina ne incontrò tanta, soprattutto beccacce, ma con un cattivo maestro del genere, sugli altri selvatici, anche lui stava prendendo una brutta direzione anche perché, crescendo, era anche entrato in competizione col suo maestro. Capitò nel frattempo che il pointer si ammalasse di leishmania fulminante, così Zeiro rimase solo.
Mi ritrovai un cane che non conoscevo, non cacciava più, e se prima lo dovevo richiamare spesso perché la sua foga venatoria era incontenibile e lo faceva allungare molto, adesso non lasciava il mio solco, completamente spaesato.
Continuai a farlo uscire con molta pazienza e dopo qualche mese, ancora a caccia chiusa, iniziò a mostrarmi di che pasta era fatto, di quali capacità olfattive e di intelletto canino fosse provvisto, ogni giorno faceva un passo da gigante, rimaneva molto collegato e intrecciava il terreno in modo impeccabile.
Durante la stagione precedente incontrai un signore di Rimini, appassionato cacciatore in vacanza venatoria che si dilettava a insidiare le abbondanti allodole, guardò il mio bracco e iniziò a criticarlo aspramente prima di tutto perché era troppo asciutto come bracco con poca pelle che penzolava, ma in realtà a me questo faceva piacere, poi perchè non aveva un atteggiamento da vero bracco sul terreno in quanto alternava galoppo a trotto.
Rimasi a sentirlo per educazione ma di tutta quella manifestazione di erudizione cinofila non avevo che farmene, nel frangente il bracco aveva scovato dove l’amico riminese aveva nascosto le allodole catturate ed educatamente ne apprezzava le carni tenere.
Se l’anno precedente, quell’incontro qualche dubbio lo aveva insinuato nel mio giudizio sul cane, l’anno successivo ogni perplessità era dissipata ed io ero contentissimo del mio cane da caccia, di come impostava il terreno, di come adattasse il suo stile di cerca al selvatico e alla morfologia del terreno e della sua capacità di mettermi sempre in condizione di sparare il selvatico, soprattutto.
Zeiro della Croccia, fratello del più famoso Zoran proprietario Massimo Scheggi, non so se rispettasse i canoni e gli standard di razza, ma aveva dimostrato un ampio senso del selvatico e una capacità olfattiva non comune che gli consentiva di mantenere la giusta distanza dal selvatico senza forzarlo e senza perderlo.
Era un cane che andava a caccia consapevole e convinto di ciò che faceva e di ciò che voleva. Mai ferme a vuoto, mai selvatici persi e con gli anni aumentava sempre più il suo senso del selvatico e la capacità di impostare la battuta di caccia nel modo più strategico e proficuo.
Sabato mattina, avevo scelto una zona distante un 15 km dal mio paese, in prossimità della fascia costiera. Zona molto ampia e variegata dal punto di vista orografico, caratterizzata da lievi avvallamenti, dossi e pianure solcate da canali per lo scolo delle acque piovane molto ricchi di vegetazione, falasco e canne; era per lo più coltivata a grano, vigneto, mandorleto e uliveto.
Molte erano le quaglie che svernavano in quella zona e si riproducevano creando un vero e proprio contingente che oserei definire stanziale che richiamava un gran numero di selvatici migratori in transito.
Era una zona molto umida e ricca di cibo perciò i selvatici erano sempre molto belli con un piumaggio e una consistenza fisica di rilievo, si comportavano in modo eccelso con i cani a cui riuscivano a sottrarsi facilmente grazie all’erba verde e rigogliosa che cresceva generosa nella zona, la nepetella soprattutto, che riusciva a confondere l’emanazione odorosa. Selvatici bellissimi e nobili anche al momento dell’abbattimento.
Erano passate le 6 da qualche minuto e col mio compagno di caccia occasionale stavamo percorrendo la strada che ci conduceva al posto scelto. La giornata si presentava grigia e senza vento, molto umida e con una nebbia piuttosto densa che tardava a diradarsi.
Posizionati sulla sommità di un dosso, osservammo che tra la nebbia più in basso, alcuni cacciatori sfidavano l’avversa condizione meteo costringendo i cani tra la guazza, in mezzo alle canne e tra l’erba cresciuta dopo i due acquazzoni delle settimane precedenti.
<< Ma ci tagliano la strada così >> proruppe il mio compagno, << calma, non sgancio il cane in queste condizioni, poca visibilità e troppa guazza >> risposi io.
Intanto i tre cacciatori con i due setter ci passarono sotto mentre i cani si prodigavano in lacet e incroci sul terreno. Finalmente uno andò in ferma e l’altro in consenso, partì una quaglia dal volo incerto e la catturarono. Dopo pochi metri, scena simile ma non partì nulla, i cacciatori tutti a pestare il terreno, ma niente, si allontanarono e una nuova ferma li fece accorrere, stavolta partirono due quaglie che dopo una raffica furono catturate.
<< Tre quaglie da sotto il naso ci hanno tolto >> sbuffa il mio compagno, << ma dai non le avranno prese tutte, ci sono ettari di terreno idoneo e poi le condizioni del tempo non sono ancora le migliori per i cani >> e mentre rispondevo così iniziai a sentire del vento sul viso, la nebbia iniziò a diradare e uscì un pallido sole settembrino.
Decido allora di sganciare il bracco. Contenti iniziamo ad affrontare il terreno dove la stoppia giallo scura per l’umidità emana un forte odore di paglia e le appiccicose piante di campo sono di un verde brillante. Imposto l’azione in un riquadro di qualche ettaro delimitato da filari di ulivi, il bracco galoppa alacremente mantenendo la sua distanza intorno ai 60/70 metri, incrocia bene ma non da cenno di avventare nessuna pista.
Faccio il perimetro dell’appezzamento, il mio compagno mi affianca a una decina di metri alla mia destra, finito il perimetro tracciamo due diagonali al centro del campo, niente.
<< Ma vuoi vedere che erano le uniche quaglie quelle trovate da quei cacciatori >>, mi chiedo?
Intanto il bracco allunga il passo, esce dal riquadro e si dirige verso una depressione alla nostra sinistra, un enorme appezzamento con stoppia e erba bassa contrassegnata da ben due canali. Lo seguiamo e ci disponiamo da un lato e dall’altro del canale largo 5 metri e profondo un metro e mezzo.
Zeiro setaccia il fondo e risale sulle sponde, il suo passo è mutato, non galoppa ma ha assunto una cerca più dettagliata, meticolosa ma ancora sufficientemente celere adattandosi alle esigenze del terreno.
A un certo punto rallenta. << Oh, ma che è fermo? >> indica col palmo aperto il mio compagno con uno slancio del corpo in avanti. Il bracco fermo, immobile come trafitto nell’atteggiamento stesso in cui si trovava, la testa alta leggermente spostata a sinistra << attento, spara solo quando la quaglia prende il volo e non c’è il cane dietro >>.
Quel giorno avevo deciso di provare il fucile di mio padre, un semiauto Beretta A-302 cal 20 con canna 65 ***, munizionamento GP pb.9 ed F2 pb.8 della Baschieri&Pellagri.
Mi avvicino mantenendomi sulla sponda, avanzo fino ad arrivare all’altezza della testa massiccia del bracco. Inizio a scalciare qualche zolla, ma il cane sempre in ferma, un paio di metri più avanti frullano via due quaglie dal mio lato, sono fortunato e riesco in una coppiola.
Zeiro esce dal canalone e si appresta al recupero a colpo sicuro come se le avesse sparate lui le quaglie. L’amico iniziava a guardare interessato e quasi commosso.
Continuammo e seguirono altre tre ferme e tre abbattimenti effettuati dal mio compagno di caccia, che rimase ancora una volta colpito da come il cane recuperò la terza quaglia spuntata d’ala, risolvendo con grande semplicità il ritrovamento del selvatico che provava a sfuggirgli in mezzo alle canneruggiole, riportandomela ancora viva.
Giungemmo infine in mezzo a un piccolo appezzamento di vigna, c’erano due grandi albicocchi, alberi di fico e melograni piantati in ordine sparso. Sotto uno di questi erano cresciuti dei cespugli di erba e da in mezzo ai rami verdi spuntava il treno posteriore del bracco immobile con la coda perpendicolare al corpo.
Feci cenno all’amico di prepararsi dicendogli di stare attento che questa non era quaglia, ma forse quell’orecchiona di cui avevo tante volte visto le tracce ma non avevo mai incontrato.
I secondi passarono interminabili, il cane non rompeva la ferma e mi venne anche il dubbio se non stesse male, così provai ad avvicinarmi per vedere se riuscivo a individuare cosa stesse fermando. Appena allargai qualche ramo del melograno, il bracco ruppe e forzò facendo schizzare dal covo una bellissima lepre che mi rubò due fucilate saltando da un lato all’altro, ma non riuscì a evitare il colpo del mio compagno che la fulminò appena uscì dal filare.
La festa del bracco fu enorme perchè sembrava visibilmente appagato quando abboccava prede di grossa mole.
Dopo un paio d’ore incrociammo il gruppetto di cacciatori della mattina che, avendoci sentito sparare, erano intenzionati a ripercorrere il terreno di caccia fatto tanto velocemente di mattina. Guardarono di sottecchi le zampone che uscivano dalla cacciatore bella gonfia del mio compagno e la mia da dove si intravedevano le forme tondeggianti di diverse quaglie. Salutammo e proseguimmo ancora, ripercorrendo un altro appezzamento fatto da loro poco prima.
Il bracco bianco arancio col naso al vento, la grande lingua rosa penzoloni, le lunghe zampe muscolose che galoppavano, capta un’emanazione, ne inizia una lunga guidata a cui neanche io prima di allora avevo mai assistito.
Eravamo sulla parte alta di un appezzamento in pendenza tutto stoppia e nepetella, il terreno terminava in fondo con un gran canale ricco di vegetazione dopo il quale si estendeva una piantagione di palmizi. Zeiro muove i suoi passi alternando una zampa dietro l’altra con grande gravità, poi accelera per rallentare subito dopo ammortizzando sulle zampe anteriori.
Ci godiamo lo spettacolo affiancando il cane e non standogli dietro, il grande tartufo umido analizza e scandaglia l’aria e spinge tutto il corpo avanti, la bella e grande testa alta. Percorriamo così 30/40 metri e si blocca in ferma definitiva.
Invito l’amico a sopravanzare, lui visibilmente emozionato appende l’arma in spalla, non vuole più sparare, le nostre prede le abbiamo catturate, l’istinto venatorio è ampiamente soddisfatto, accarezza il groppo del cane e lo sopravanza di un passo e gli si inginocchia a fianco.
Si rialza col cane che forza leggermente. Tre, quattro, 5 metri e di nuovo giù in ginocchio vicino al bracco qualche metro più avanti frullano 10/11 quaglie tutte raggruppate che, come un lontano ricordo di cugine più grandi, si sparpagliano in diverse direzioni verso la bassa piantagione di fronte.
Zeiro parte all’inseguimento ma lo richiamo prontamente, abbiamo fatto una bellissima cacciata, abbiamo goduto di strepitose azioni che ci hanno fatto intimamente emozionare.
Durante il rientro il mio amico visibilmente soddisfatto e ancora emozionato per la giornata, non finisce di lodare il cane e di ricordare i vari spettacoli a cui ci ha fatto assistere quel giorno.
Successivamente seppi che, interrogato da diversi per avere conferme o smentite dell’abilità del mio Zeiro, non rivelò nulla nè del luogo nè del carniere, ma rispondeva solo:
<< quello è un cane eccezionale!!! >>