Nei miei sogni, o incubi, di giovane appassionato di caccia alla beccaccia, il tema era sempre quello di inseguire una beffarda e maliziosa arciera, per boschi, canneti e perfino nel viale alberato del mio paese, senza mai riuscire a catturarla. Questi mi sovvenivano soprattutto quando sapevo che l’indomani sarei andato a respirare l’aria del bosco, anzi l’aria della “cava” (canyon o depressioni naturali tipiche del paesaggio ibleo), dove gli amati scolopacidi decidono di soggiornare nel periodo invernale, e avrei avuto la possibilità di incontrarla.
Così, preparata con cura la cartucciera, data un’ultima controllata alla vecchia doppietta Oxford cal 12 canne 70 cm 3/1, indossato tutto l’occorrente, già pronto da giorni, caricati i cani in macchina, si procedeva per lunghe “trazzere” (strade sterrate) ma col pensiero già rivolto alla regina e alla magia che riveste tutto ciò che la riguarda.
Il rapporto che si instaura con la beccaccia, ritengo, sia un qualcosa di personalissimo, un unico comune denominatore per ogni cacciatore ma con diverse sfumature come diverso è l’animo di ogni beccacciaio. La mia, ad esempio, è stata una passione talmente forte, che alla morte dell’ultimo mio grandissimo cane da beccacce di nome Zeiro, un bracco italiano bianco arancio dell’allevamento della Croccia, decisi di non dedicarmi più alla caccia della beccaccia né di addestrare cani per la caccia.
Dopo diversi anni dedicati alla caccia d’aspetto o vagante ai migratori in genere, e di assenza dal mondo venatorio cinofilo e dalle sensazioni ed emozioni che solo un cane in ferma e il frullo tra gli alberi ti possono regalare, decisi che il mio animus venandi si fosse sufficientemente purificato e che era ora di tornare a cercare la regina del bosco, ma alle condizioni più favorevoli a lei.
Cacciare da solo, con un solo cane (neanche blasonato) e con il calibro 28.
Si sa che la caccia alla beccaccia presenta delle difficoltà intrinseche perché l’ambiente scelto dallo scolopacide per trascorrere le ore diurne è ostico, sicuramente, e perché l’amata regina riesce a mettere in atto tutta una serie di tecniche e tattiche elusive, che molto spesso ci consentono solo di sentire il “pa-pa-pa-pa” delle ali che la portano lontana dal pericolo.
Perché gli ausiliari impiegati non per forza di cose saranno all’altezza della regina, e perché è necessario individuare le giuste armi e munizioni per il tipo di caccia e non ultimo, direi, che anche l’emozione del cacciatore che coglie i fremiti della ferma dell’ausiliare in attesa dell’incontro con la regina gioca un ruolo importante tra le difficoltà di questa caccia.
In questa cornice si inserisce l’utilizzo di fucili in calibro 28/70 o 76, che non rappresentano un vantaggio o uno svantaggio rispetto all’uso di calibri maggiori, ma un diverso modo di intendere l’attività venatoria e di applicare le strategie apprese dall’esperienza.
Ma veniamo agli aspetti favorevoli nell’uso del piccolo calibro.
Partendo dal fatto che la media oraria di un cacciata alla beccaccia è di 3,5 ore, periodo durante il quale il cacciatore deve affrontare un terreno scosceso, spesso costretto ad abbassarsi e a rialzarsi, a salire e scendere, dietro il bubbolo del cane, crinali e versanti di “cave”, è chiaro che il dispendio energetico è alto, pertanto, avere un peso piuma tra le mani, quale il calibro 28, con le sue modeste munizioni da 22/24 grammi si traduce in un sicuro vantaggio per chi vuole insidiare la beccaccia.
Il calibro 28 rappresenta un’arma facilmente trasportabile che si può tenere agevolmente con una mano, che poggiata sulla spalla non disturba per il suo peso e che non ci obbliga ad utilizzare la cinghia porta fucile.
La leggerezza del fucile si traduce anche nella diminuzione della sensazione delle braccia stanche e in una più pronta rapidità di imbraccio dell’arma quando lo si richiede.
Parlando di calibro 28 nella caccia alla beccaccia oggi il panorama dell’industria armiera, italiana e non, ci offre un ampio ventaglio di possibilità e scelte tutte molto valide e anche pregiate dal punto di vista estetico.
Per chi è abituato a cacciare con la canna unica e si vuole affidare alla tranquillità dei tre colpi, di ottimo livello e fattura è la produzione dei semiautomatici in 28/70 e 76 di casa Beretta, Benelli e Franchi, con diverse lunghezze di canne (anche 67cm) e la possibilità di scegliere la strozzatura che più si adatta al nostro stile di caccia.
Se poi si vuole essere un po’ più tradizionalisti troviamo un’ampia produzione di sovrapposti e doppiette in calibro 28 sempre con diverse misure di canne, con alcuni prodotti dedicati appositamente alla regina, e sempre con la possibilità di adattare l’arma, con gli strozzatori interni, in base all’ambiente e al tipo di caccia che si intende praticare.
Certamente le due canne, oltre al loro fascino, hanno il vantaggio di offrirci due strozzature diverse che nella caccia alla beccaccia possono tradursi in un quid in più rispetto al terzo colpo del semiautomatico, non sempre utilizzabile in questo tipo di caccia dove spesso risulta difficile anche sparare il secondo colpo, se il primo non va a buon fine.
Se si caccia da soli, il tiro alla beccaccia non sarà facile, tranne casi eccezionali, perché non è mai pulito e soprattutto se si deciderà di utilizzare il calibro 28. Infatti, tra il cacciatore e la beccaccia, di mezzo ci saranno alberi, cespugli, chiome e tutto ciò che la furba riuscirà a mettere tra se e il predatore.
Teoria venatoria ed etica vorrebbero che se non si vede bene il bersaglio non si dovrebbe sparare anche per evitare di ferire l’animale, cacciando in calibro 28 questo diviene una regola se non si vuole scaricare inutilmente il fucile.
Le rosate concentrate del piccolo calibro, per essere efficaci devono essere ben indirizzate perché il numero di pallini periferici è esiguo ed è difficile che si possa colpire mortalmente un selvatico come la beccaccia.
Viceversa, una volta ben indirizzata, la rosata compatta del calibro 28 darà risultati di ampia soddisfazione al cacciatore, che riuscirà a sospendere il volo deciso del migratore alato, con qualche grammo di piombo, in una nuvola di piume.
Per ottimizzare il tiro sarà opportuno scegliere con cura la propria posizione quando il cane è in ferma preferendo di avere la visuale coperta nei primi metri e magari avendo la possibilità di scorgere meglio l’arciera a volo spiegato; il sangue freddo, che ogni cacciatore di beccacce possiede, deve essere ancor più freddo quando si decide di utilizzare il piccolo calibro.
Quello delle munizioni in calibro 28 per la caccia nel bosco, è un discorso molto particolare, perché fino a qualche anno fa non esistevano cartucce da dedicare a questo tipo di caccia.
Infatti le munizioni prodotte, anche se caricate con borra bior, presentavano sempre una concentrazione della rosata, nei primi metri specialmente, che rischiava di tradursi in una padella clamorosa o nel rovinare la preda irrimediabilmente, specialmente per chi come me utilizza canne da 71 cm con strozzatura fissa 3/1.
Ed è quello che mi successe con le prime beccacce in solitaria quando decisi di usare il calibro 28.
Le prime due o tre si tradussero in padelle indegne anche di chi si trova alle prime armi, mentre la prima che riuscì ad abbattere, nonostante il tiro non fosse particolarmente ravvicinato, risultò in pratica rovinata per metà.
Vi lascio immaginare la delusione e la voglia di posare quel fuciletto in armadio e riprendere il mio cal.20.
Ma non ho desistito, anzi ancora più convinto della bontà dell’arma e delle sue munizioni iniziai ad utilizzare cartucce con 17/19 grammi di piombo 9. Il risultato cambiava poco, in quanto risultavano essere cartucce molto violente e troppo soggette alle variazioni climatiche, con in più il fatto che, così pochi grammi di piombo, venivano in grossa parte assorbiti dalla vegetazione.
Quindi passai alla ricarica domestica e qui riuscì, in certo qual modo, a colmare il gap delle munizioni.
Utilizzando polvere M92S della B&p, borre bior e stratificando il piombo o adattando crocette dispersanti del cal.20, sono riuscito ad ottenere discrete cartucce da bosco che qualche soddisfazione mi hanno regalato, alla fine. In periodi più recenti, poi, ho trovato munizioni come la Fiber della B&P alla quale affiancare le mie ricaricate, ottenendo così un più che discreto risultato.
Chi è contrario all’uso del calibro 28 nella caccia alla beccaccia, fa riferimento a due elementi in particolare il fatto che le rosate risultino essere troppo strette nei primi metri e che l’esiguo numero di pallini di piombo delle leggere munizioni possa causare più feriti e dispersi che prede catturate.
Diciamo che i due elementi cui si fa riferimento sono veri e sono caratterizzanti il calibro 28 stesso.
Non altrettanto si può dire per i risultati che si ottengono.
Inizierei col dire che il calibro 28 non è sicuramente il miglior fucile per la caccia alla beccaccia, ma neanche il peggiore. E che bisogna distinguere sul tipo di caccia che si vuole affrontare se in solitaria o in compagnia.
Perché se si caccia in due o più persone è chiaro che, se chi intende utilizzare il calibro 28 è il cacciatore che si pone al di fuori dell’azione con l’unico compito di sparare la beccaccia, il gioco è presto fatto, non ci sono particolari difficoltà se non nel trovare la posizione adatta, nella regolazione della distanza di fuoco e in una maggiore attenzione nella mira, ma nulla di insormontabile per un discreto tiratore.
Discorso diverso per chi caccia in solitaria.
Questi deve tener conto, effettivamente, della concentrazione e delle ridotte dimensioni delle rosate, e dei pochi grammi a disposizione. Ma si è sempre sostenuto che utilizzando il piccolo calibro si deve essere consapevoli di modificare stile e modo di caccia.
Deve essere per forza diverso l’approccio rispetto alla caccia con il calibro 12 con canna cilindrica o strozzature 4/2.
Individuato il cane in ferma sotto un folto cespuglio di lentisco o in mezzo all’intrigo delle querce, decideremo, pertanto, di non stare a inquadrare la coda del cane in ferma in attesa che la regina si involi, ma proveremo ad aggirarla con una mossa a tenaglia cercando di stringere il selvatico tra l’ausiliare e noi.
Oppure, decideremo di inginocchiarci per sperare di aumentare la distanza tra la bocca di fuoco e l’apice dell’incolonnamento della beccaccia e tenderemo a concentrare la fucilata sulla parte anteriore del selvatico.
O ancora proveremo a trovare una posizione più elevata che ci consentirà di individuare la regina quando sorvolerà le chiome più alte. Certamente tutto sarebbe stato più semplice se avessimo avuto a disposizione una dispersante con 35 grammi di piombo.
Le munizioni sono leggere, lo abbiamo sempre detto, ma ciò non vuol dire che siano poco efficaci, anzi.
Bisogna tenere conto però, utilizzando un calibro 28, che si deve evitare di azzardare tiri fuori portata o troppo sporchi perché i pochi pallini non raggiungerebbero il selvatico o potrebbero avere poca penetrazione e causare ferite e sofferenze inutili.
Lasciarla andare, se non si è sicuri del tiro, è il massimo rispetto che un Cacciatore possa avere per la regina e la selvaggina in generale, un segno di rispetto che appartiene a un concetto diverso di caccia e gestione faunistica.
Alla fine del discorso sull’uso del calibro 28, mi piace sottolineare che questo calibro non è l’erede del calibro 20, ma rappresenta un mondo a sé.
Chi intende approcciarsi ad esso ed utilizzarlo per la caccia alla beccaccia, specialmente in solitaria, deve, giocoforza, apportare un cambiamento nel modo in cui si affronta la caccia e nello spirito venatorio, raggiungendo quella sorta di “nirvana” che ci spinge a perseguire di più l’arte venatoria senza che questo si traduca in maggiori carnieri, ma in maggiori soddisfazioni.