La caccia alla beccaccia è… difficile! Sia per chi ogni stagione si cimenta in prima persona nella sfida all’arciera sia per chi desidera semplicemente raccontarla per essere d’aiuto ad altri appassionati cacciatori.
Questo perché la beccaccia è ormai l’ultimo selvatico rimasto tale, cacciabile in gran parte dell’Italia con il cane da ferma, vista la decisiva scomparsa di starne e fagiani dai loro antichi areali. Inoltre è un animale di intelligenza fuori dal comune, contraddistinto dall’imprevedibilità delle sue mosse, quindi molto difficile da incarnierare.
Ci possono essere d’aiuto, in questo senso, le ricerche effettuate da associazioni venatorie, club e associazioni di beccacciai a livello europeo che trattano di argomenti che vanno dalle caratteristiche fisiche / fisiologiche alla migrazione, ma anche etologiche: le loro abitudini, l’alimentazione, l’individuazione dei territori di riproduzione o di svernamento, le rotte di migrazione e di ripasso e relativi periodi.
Ma per me, e sicuramente per moltissimi cacciatori, la caccia alla beccaccia rimane magia ed arte pura. Una costante nella vita di cacciatore, nata in me da giovane adolescente che accompagnava suo padre.
Una forma di caccia che per l’emozione la sera prima non mi faceva dormire e cancellava il pensiero delle sveglie prestissimo e del freddo pungente delle albe in montagna.
Una tradizione di famiglia che, oltre il singolo pensiero monotematico di mio padre, è diventato anche il mio e dopo tutti questi anni ancora mi accompagna.
Infatti anche a stagione finita i veri beccacciai hanno in testa sempre e solo lei.
Nella vita di tutti i giorni pensiamo a come quella beccaccia quella mattina ci abbia fatto dannare senza più essere vista, oppure quell’altra che invece è stata anche fin troppo facile. Ancora se, passando in auto, vediamo un boschetto in lontananza, pensiamo subito se quello possa essere o meno un posto da beccacce.
Capita anche a te?
Cosa rende unica e speciale la caccia alla beccaccia
Aggettivo da associare a questa caccia è specialistico. Infatti tutto quello che riguarda la regina del bosco richiede una forma di specializzazione, cosa che va dal cacciatore al proprio cane, dalle armi alle cartucce.
Partendo dal presupposto che ogni cacciatore con un cane generico potrà trovare la beccaccia ad inizio della migrazione, cosa più difficile sarà spuntarla con selvatici ormai scaltri, impaesati e smaliziati, che hanno conosciuto l’insidia del cane e del cacciatore. Saranno quindi molto abili a sottrarsi al minimo sentore di pericolo, utilizzando diverse strategie che le porteranno ad allontanarsi e ad eludere i propri inseguitori.
Potranno infatti pedinare e coprire diversi metri e, nel caso in cui vengano incalzate, si involeranno fuori tiro, con piccoli voletti di 10 / 20 metri per far perdere le tracce. Le più smaliziante invece voleranno lontane.
Quando in volo la beccaccia attuerà una nuova tattica nella tattica, che sia volata per scampare al cane o che si sia padellata, farà una forma di 7 in aria. Questo è un modo per evitare che si trovi facilmente la rimessa, comportandosi in modo diverso dagli altri selvatici cacciabili col cane da ferma, che diversamente tendono a volare in linea retta.
E’ qui che gli specialisti, cane e cacciatore, sapranno dove cercarla, dove ribatterla, ricorrendo alle loro abilità date dall’intelligenza e dalle esperienze passate.
C’è da ricordare che ogni beccaccia è una cosa a sé e che probabilmente diverse beccacce non si comporteranno mai allo stesso modo.
Ci saranno infatti quelle che per giorni ci faranno scoprire solo la loro calda, quindi voleranno via facendo impazzire cani e cacciatore nella loro ricerca. Quelle saranno da evitare se cacciate da soli, ma già due cacciatori avranno una possibilità in più per prevalere su questa strega e gioirne il doppio!
I cani per la caccia alla beccaccia
Argomento ancora più arduo e complesso da trattare riguarda appunto il cane da beccacce ideale, le razze e le caratteristiche per cui un singolo ausiliare può fregiarsi del titolo di specialista nella caccia all’arciera.
Non esiste la razza ideale. Questo è un punto fermo. Lo sanno tutti i cacciatori che utilizzano una razza piuttosto che un’altra.
Questa è infatti scelta condizionata dal proprio gusto, simpatie personali e da affinità che si sono create con gli anni di utilizzo. Quindi da quell’appagamento ed emozione che solo la razza da noi amata e utilizzata ci potrà dare, dalla semplice cerca alla ferma.
Le fasi dell’accostamento e del frullo
Ogni soggetto di una certa razza, istruita di generazione in generazione, acquisirà tramite l’addestramento e l’allenamento un orientamento innato a cacciare in modo istintivo, ma non sarà ancora uno specialista.
Esistono ottimi cani da caccia, ausiliari utilizzati sulla quaglia, starna o fagiano. Avranno le carte in regola per farci incontrare la beccaccia, ma devono avere altre prerogative per essere dei buoni se non ottimi cani da beccaccia.
Avendo già recepito le lezioni da buon ausiliare venatorio, importanti in questa caccia saranno l’obbedienza e il collegamento.
Punto principale è l’intelligenza, caratteristica basilare anzi forse determinante. La cerca dovrà essere instancabile e continua, ma sempre intelligente e finalizzata all’incontro, in una parola redditizia.
Il cane dovrà essere un grande fermatore, sicuro ed equilibrato nel lavoro con giuste caratteristiche psicologiche. Anche se si trattasse del più nevrile dei Pointer dovrà attendere l’arrivo del conduttore senza incalzare o forzare il selvatico.
Discorso a parte, la conformazione del terreno di caccia ci potrà condizionare e far cambiare idea sulla preferenza di una razza rispetto un’altra.
Premesso che prescindendo da essa, un singolo soggetto può adattarsi alle diverse contrade in cui dimorano le beccacce, lo farà snaturando per forza di cose lo stile di razza.
Luoghi chiusi e impenetrabili con sottoboschi fitti, prunai, marrucheti che azzereranno la velocità, la cerca ampia e aggressiva del pointer o la strisciata ed elegante del setter, ci “potrebbero” far preferire un buon bracco italiano o uno spinone, che per naturale inclinazione avranno una cerca più corta e pacata, ma sfoggeranno altri accorgimenti per finalizzare l’azione. Allora non sarà più il gusto a farci decidere ma il risultato!
Proprio in questi casi si vedrà la differenza tra chi cerca la beccaccia per il fine ultimo dell’abbattimento e chi lo fa per la passione e per la magia intrigante e coinvolgente di farlo con il proprio fedele amico, per l’attrazione verso l’aspetto e lo stile della razza amata e che ci emoziona dal momento in cui lo si scioglie fino al momento di rientrare all’auto.
L’addestramento per i cani da beccaccia
Vitale e basilare per la riuscita del cane da beccaccia è il suo addestramento.
Importanti saranno esperienze su altri selvatici, quaglia in primis e, per alcuni fortunati, starne e fagiani. Fermo restando che avrà acquisito le nozioni della cerca e abbia imparato l’obbedienza e il collegamento con il proprio conduttore, lo si potrà condurre nelle prime uscite sulle beccaccia.
Sarà un terreno difficile non solo per l’orografia in sé, ma anche perché, data l’umidità del bosco in autunno, sarà caratterizzato da tante varianti olfattive che potrebbero distogliere l’olfatto dall’emanazione dello scolapacide.
Alcuni consigliano di portare il cane nei periodi precedenti la migrazione così da farlo abituare ai diversi profumi ed effluvi tipici del luogo che lo circondano.
Per consolidare il dressaggio e il collegamento l’uso del fischietto è congeniale, almeno per attirare l’attenzione e farlo rientrare.
Avendo la possibilità, buona norma sarebbe affiancare ad un cane giovane un cane più esperto, così se le doti ci dovessero essere, l’aiuto potrebbe solo infondere coraggio e sicurezza non solo nel futuro incontro con la beccaccia, ma anche un contributo nel dressaggio. L’adulto saprà come muoversi, cercare e negoziare, e sarà il miglior insegnante.
Le razze dei cani da ferma utilizzate nella caccia alla beccaccia vengono suddivisi in inglesi (pointer, setter, springer e cocker), continentali esteri (kurzhaar, drahthaar, bracco francese, epagneul breton) e continentali italiani (bracco italiano e spinone).
Il Pointer inglese
Partendo dal Pointer Inglese, la mia razza preferita ed amata, quella che più mi affascina, possiamo dire che è quella che dispone di tutte quelle caratteristiche per trasmettere emozioni che l’utilizzo delle altre razze difficilmente riusciranno a dare.
E’ un cane che, guidato dalla passione e dall’istinto, sarà sfrontato e ardimentoso. Farà letteralmente venir la pelle d’oca nella sua guidata a strappi. Il galoppo sarà impetuoso, uno spettacolo esaltante. Rara è la filata, cioè il sentore dell'emanazione del selvatico e l’avvicinamento conclusivo prima della ferma, ma lo farà sempre in modo regale a testa sopra l’orizzonte, fremente, arti tesi e singole frustate della coda. Vigorosa è la ferma, reazione istintiva, grintosa e statuaria.
L’accostamento e la guidata saranno eseguiti con autorità tramite scatti decisi e serrati fino all’involo del selvatico.
Il Setter inglese
Il Setter inglese avrà invece un galoppo radente ed elegante, la cerca sarà prudente e metodica, naso vigile ad ogni effluvio. Nell’accostata sarà più cauto, abbassandosi sul posteriore, quasi sedendosi, e risalirà sospettoso l’effluvio fino a cadere in una rigida ferma.
I Setter si schiacciano molto nella ferma perché era inizialmente utilizzato nella caccia alla pernici con le reti. Infatti per poter facilitare il lancio della rete, mantenendola quanto più bassa possibile, sul branco delle pernici fermate, il cane doveva assumere una posizione molto bassa e schiacciata, quasi ventre a terra; questa arcaica impostazione è rimasta tutt’oggi in questa razza inglese.
Il Kurzhaar o bracco tedesco
Il Kurzhaar, elegante e forte, è caratterizzato da un galoppo continuo, energico ma non impetuoso. Al momento della percezione del selvatico si avrà il passaggio dal galoppo al trotto, posteriori flesse e corpo eretto con collo esteso e testa alta, procedendo cauto ma deciso.
Ferma di scatto, corpo rigido, coda sulla dorsale. Nel momento della guidata sarà decisa ma prudente, coda in movimento orizzontale fino alla ferma definitiva.
Il Drahthaar
Il Drahthaar, cane da caccia tuttofare, ha una cerca continua e ordinata. Si muove bene su tutti i terreni, forte e tenace è dotato di un grande olfatto, capace anche di seguire le tracce.
Infatti viene utilizzato come cane da sangue nelle cacce agli ungulati per ritrovare selvatici feriti. Si tratta di un cane sempre molto collegato ed ubbidiente.
L’Epagneul Breton
L’Epagneul Breton ha uno spumeggiante galoppo energico, si muove in modo composto e continuo con falcate raccolte e scattanti. La cerca dovrà adeguarsi alla natura del terreno. Ferma di scatto o dopo rapido e deciso accertamento in posizione eretta.
Il Bracco Francese
In ragione della mole il bracco francese si differenzia in: tipo Gascogne caratterizzato da un galoppo medio, non eccessivamente veloce ma facile ed armonioso. Più piccolo, invece, il bracco di tipo Pyrenees che avrà un galoppo molto veloce con vigorosa spinta del posteriore, senza però eccedere nell’impeto del Pointer, quindi sempre nella nota del continentale. Cerca aperta diligente e sempre consona all’orografia del terreno ed alla vegetazione.
Sull’emanazione fila deciso e rapido, ferma di scatto con la testa in direzione del selvatico e più bassa rispetto all’orizzonte. Guidata in posizione eretta, energica, veloce e con la testa sempre alta.
Bracco italiano e Spinone Italiano
L’andatura è di trotto lungo e veloce, vivace e redditizio. Cerca con esplorazione di tutto il terreno a disposizione.
Al sentore del più lieve effluvio, rallentano gradatamente l’andatura e rimontano verso l’origine presunta con grande prudenza, testa alta, all’avvicinamento rallenta maggiormente con gli ultimi passi lentissimi.
Nobile, imponente, vigile, ma calmo, ben eretto e lievemente proteso in avanti. Guida a vento dominando sull’emanazione diretta.
Springer Spaniel
Menzione a parte va agli Spaniel (Cocker e Springer), cani da cerca utilizzati nel Regno Unito per insidiare la beccaccia e altre specie selvatiche. Il lavoro di questi cani prevede una cerca intensa a breve raggio dal cacciatore, individuata la preda l’azione di cerca si fa più concitata fino al forzare la preda al frullo.
Per questo possono essere vantaggiosamente utilizzati in territori ristretti cui si addice perfettamente la loro minore ampiezza della cerca. Sempre al servizio del fucile e assolutamente diversi nel lavoro rispetto ai tradizionali cani da ferma, recuperatori e riportatori d’eccezione.
A prescindere della razza impiegata il ruolo primario, che farà concretizzare l’incontro e il successivo abbattimento, sarà a carico del cacciatore. Sarà lo stratega della situazione.
Conoscerà i terreni ideali in base al periodo e alle differenti condizioni metereologiche. Nella stessa giornata potrà preferire un luogo rispetto che un altro.
Dove cercare la beccaccia
Il luogo più indicato per il suo incontro sarà un bosco misto, con piante caducifoglie (querce, faggio, castagno, carpino, nocciolo) o resinose (pini, abeti, larici) alternato a zone più aperte. Il sottobosco dovrà assicurare alla beccaccia una copertura nei suoi spostamenti di pedina. La beccaccia ama nascondersi tra i rovi, le eriche e la macchia mediterranea mista.
Spesso sono le caratteristiche del suolo che faranno la differenza.
Dovrà infatti essere un terreno fresco ed umido con la presenza di un tappeto di foglie morte, così da avere un humus ed un contenuto organico adatto alla sviluppo della microfauna terrestre: vermi, insetti, larve e lumache; pasti abituali e preferiti dallo scolopacide.
Secondo il microclima presente la cercheremo in alto se la giornata è calda e soleggiata, invece in basso se nuvolosa o piovosa. Se fredda ad est perché preferirà il tepore del sole. Se ci fosse neve o ghiaccio scenderanno fino alle colline alberate.
Fucili e cartucce per la caccia alla beccaccia
Se cani e cacciatori devono essere specialisti in questa attività venatoria di conseguenza anche armi e cartucce lo dovranno essere.
Partendo dai fucili basta guardare nei diversi cataloghi, fiere di settore, pubblicità su carta stampata o internet scoprendo che ogni fabbrica italiana ha una o più armi progettate e costruite specificatamente per la caccia alla beccaccia.
Saranno doppiette, sovrapposti o semiautomatici, ma con caratteristiche peculiari: lunghezze di canna ridotte, peso contenuto, bilanciamento perfetto per facilitare l’imbracciata e il puntamento e strozzature aperte, in grado di fornire rosate generose a breve distanza.
Quarant’anni fa più o meno, erano veramente in pochi i cacciatori che si dedicavano alla beccaccia, quindi si dovevano accontentare adattando quello che si trovava sul mercato. A quei tempi i fucili avevano canne lunghe e strozzate, reminiscenze dell’utilizzo di cartucce con bossolo in cartone e borre in feltro.
Infatti si cercava di sparare lontano o quanto meno di avere delle rosate guarnite alle normali distanze di tiro, invece “loro”, i beccacciai, dovevano sparare e colpire a breve e brevissima distanza.
Rari erano doppiette e sovrapposti con canne da 60 e strozzature aperte tra il cilindrico (*****) e il cilindrico modificato (****). Nei semiauto le cose erano già diverse, vista la semplicità legata all’intercambiabilità delle canne; con una canna tra 60 / 62 cm poco strozzata o 4* si aveva già un fucile perfettamente adeguato a questa speciale forma di caccia.
L’evoluzione di queste armi, dopo aver visto l’adeguamento di canne e strozzature, per la ricerca della leggerezza si concentrò sui materiali super leggeri come ergal, avional e leghe di alluminio ad alta resistenza.
Vennero così creati fucili leggeri ma forti come l’acciaio, tra i primi ad utilizzare nelle proprie produzioni queste leghe furono Beretta e Franchi.
Fu un passo importante.
Soprattutto considerando la riduzione del peso sotto i 3 kg nel calibro 12, poiché trattandosi di una caccia in movimento in ambienti difficili per la vegetazione ed i fondi impervi, ogni etto levato al fucile aiutava efficacemente a ridurre la fatica e consentiva di seguire per tutta la giornata il proprio cane sui terreni montani più affaticanti per diverse ore.
Inoltre, non affaticando fisicamente il cacciatore, lo aiutava ad essere più pronto e concentrato nel momento finale conclamato dal frullo del selvatico.
Le canne corte, invece, rendono il fucile più agile nel fitto dove quelle lunghe potrebbero avere impedimenti sia nei passaggi che al momento di imbracciare il fucile.
Altra svolta in questa caccia super specialistica soprattutto in relazione agli ambienti più folti e boscati nei quali è possibile un tiro solo a distanza veramente minima è stato lo sviluppo di canne rigate o raggiate, totalmente o parzialmente.
Queste canne, già note ai beccacciai francesi all’inizio del secolo scorso, hanno la capacità di produrre rosate molto aperte già dai 10-12 metri, indifferentemente dal tipo di cartuccia impiegata.
La differenza tra quelle rigate e raggiate è data dal profilo e dalla profondità dei principi di rigatura che solcano l’interno della canna con andamento elicoidale. Questi principi obbligano la massa del piombo ad una rotazione sul proprio asse che ne causa un effetto centrifugo ed un’efficace azione di dispersione.
Una differenza molto importante è legata al fatto che la rigatura sia completa su tutta la lunghezza della canna, dalla camera di scoppio alla volata, oppure che interessi soltanto il tratto terminale della canna (paradox).
Ottimi sono infatti doppiette e sovrapposti, specifici per caccia alla beccaccia o nel bosco, con prima canna raggiata e seconda con strozzature intercambiabili ed ottimizzabili di volta in volta in base all’ambiente di caccia.
Avremo così la possibilità di cacciare efficacemente con la prima canna a distanze brevissime, mantenendo con la seconda, tra i 20 metri e i 30 metri, rosate risolutive ed efficaci, sia per ribattere una beccaccia ferita con la prima canna che per risolvere un incontro imprevisto a distanza medio / lunga.
La canna raggiata è meno utile sul semiautomatico perché risulterebbe eccessivamente dispersante ed utilizzabile soltanto in ambiente estremamente folti, in cui si abbia la certezza di sparare entro i 15 metri.
Molto più adatto sull’automatico uno strozzatore rigato che trasformi il fucile in un paradox efficace e mortale dai 12 ai 20 metri.
Passando alle cartucce, queste devono essere efficaci già da pochi metri fino al limite del tiro, che nel bosco può aggirarsi intorno ai 30 / 35 metri nelle pinete, abetaie o faggete.
Se si utilizza una canna normale Cilindrica (*****) o quattro stelle (****) risultano ottime ed adeguate anche le cartucce con borra in feltro, mentre sarà particolarmente utile una cartuccia dispersante se si dispone di una strozzatura media o medio alta.
Le cartucce dispersanti affidano il loro compito di creare anticipatamente rosate larghe alle speciali borre disperdenti, a particolari inserti cruciformi oppure alla stratificazione della colonna dei pallini (Greener).
Oggi esistono le moderne borre dispersanti B&P Z2m, le Gualandi SuperG con dispersore, nonché una variegata tipologia di dispersori a croce o a cono, di norma adottati insieme a borre in feltro.
Tutti questi artifici usati in canne con medie strozzature, svilupperanno rosate leggermente più aperte.
Come seconda canna, utile alle medie distanze e con una rosata ancora leggermente ampia, si utilizzerà una cartuccia con borra in feltro, come terza canna per chi utilizzasse il semiauto una normale cartuccia con borra bior o contenitore.
Per chi fosse ricaricatore la scelta sarà invece più ampia e si potrebbero caricare le cartucce in base a diversi parametri che interessano il proprio modo di sparare o i terreni frequentati o il semplice gusto.
Personalmente, ad esempio, sono anni che non utilizzo dispersanti in prima canna, ma cartucce con borra in feltro con orlo tondo, hanno una rosata più ampia e guarnita allo stesso tempo.
Per gli amanti dei piccoli calibri invece, vista la mancanza di vere dispersanti le si potrebbe auto produrre, creando inserti cruciformi da inserire tra i pallini, oppure stratificandone la colonna con il metodo inglese.
Negli ultimi anni vista la rilevante importanza che stanno assumendo i piccoli calibri, troviamo una moltitudine di nuove cartucce prodotte da tutte le più grosse aziende di munizioni.
Allo stesso modo dei calibri maggiori, le canne e le strozzature (sempre più spesso di tipo intercambiabile) verranno adattate in base all’ambiente di caccia e alle munizioni utilizzate per ottimizzare la resa balistica sulle brevi distanze.
Una caccia specialistica e oggi anche "tecnolgica"
Concludendo, della caccia alla beccaccia potremmo dire che sia l’università dell’ars venatoria.
Appassionante e coinvolgente, infiamma i cuori e le anime di chi la pratica esclusivamente durante tutta la stagione venatoria e di chi la segue ed insegue anche oltre confine. Già a Settembre/Ottobre nelle regioni più a nord dell’est Europa fino a tutto gennaio in lungo e largo per gran parte dell’ Europa.
Difficile, faticosa e complessa, la caccia alla beccaccia esigerà dai suoi antagonisti una buona capacità e preparazione in quest’arte per poterla sfidare e vincere in questa forma di partita a scacchi. Avversario imprevedibile metterà alla prova cani e cacciatori durante tutta la competizione.
Le percentuali di successo sono e saranno sempre basse per le mille variabili in gioco, ma la passione metterà sempre forza nel cuore e nella testa del beccacciaio. Il carniere potrà essere vuoto, ma domani saremo sempre pronti a sfidarla di nuovo, con più energia e volontà di vincere.
Oltre ad essere specialistica questa è una caccia "super tecnologica".
Tecnologia che principalmente ha interessato le armi e le cartucce, ma ha visto la nascita e lo sviluppo di accessori vari che aiutano cani e cacciatori nella ricerca della regina.
Possiamo partire dall’abbigliamento, ormai rivolto espressamente a questa attività, maglie termiche come intimo per le lunghe camminate su e giù con tutte le condizioni meteo possibili, pantaloni in materiali antispino ed antiacqua. Felpe pile e giacche con uguali caratteristiche. Votati alla massima comodità e per essere asciutti. Senza dimenticare calzature e ghette.
Allo stesso modo passi da gigante sono stati fatti per trovare il nostro fidato ausiliare nei boschi. Mentre prima c’era solo il campano o bubbolo. Piccolo o grande che fosse, poco utile si dimostrava con quei cani che hanno una cerca ampia.
Così oggi siamo arrivati al beeper o campano elettrico che segnala con un suono anche la ferma del cane oltre che la traccia. Oggi, grazie alle continue evoluzioni, siamo anche in grado di sapere se l’ausiliare è fermo solo con una vibrazione sul telecomando oppure vederlo direttamente su una cartina topografica GPS che ci indica la posizione e la relativa distanza da noi.
Tuttavia nonostante l’evoluzione tecnologia di armi e attrezzature non esistono certezze nella caccia all’arciera ed è proprio questo il suo fascino. Saranno sempre cani e cacciatore che faranno la differenza.
I primi si esprimeranno al massimo di tutte le loro qualità naturali. Dando fondo alle loro caratteristiche morfologiche e venatorie tipiche della razza, si esprimeranno nell’esplorazione del terreno in funzione di esso. Intraprendenza, coraggio ed intelligenza sono altre peculiarità che il vero cane specialista dovrà avere.
Non importerà la razza, sarà solo la nostra volontà di vivere le future giornate di caccia in modo più appagante ed entusiasmante possibile che ci faranno scegliere il nostro compagno di caccia come membro di una razza piuttosto che di un'altra.
Il cacciatore dovrà avere le stesse caratteristiche del suo ausiliare per prevalere, solo così saranno complici perfetti per prevalere in questo confronto dall’esito sempre incerto.
Anche noi dovremmo essere degli specialisti, conoscere la vita e le abitudini della beccaccia, e, soprattutto, sempre appassionati e portati alla venaticità per dimostrare di essere grandi cacciatori agli altri e a noi stessi!
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