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Guida alla caccia alle anatre

La caccia alle anatre risulta essere una tra le forme di caccia più diffuse su tutto il territorio nazionale. Questo dipende dalla conformazione stessa dello stivale e dalla sua posizione al centro delle rotte di migrazione tra luoghi di svernamento e risalita primaverile, rappresenta una piattaforma naturale di sosta con le sue lunghe coste ricche di foci, paludi e località palustri che hanno resistito nei secoli a bonifiche, cementificazione e lottizzazioni.

 

Forme di caccia alle anatre

Il metodo di caccia più diffuso è quello dell’appostamento fisso molto regolamentato nel nord Italia e invece più lasciato al caso nel sud. Tralasciando gli aspetti amministrativi e burocratici legati alla gestione del capanno fisso e del palude, la sostanza dal punto di vista venatorio poco cambia. Si tratta di strutture spesso rialzate a mo di palafitta sull’acqua, costituite da un capanno fisso che ripara i cacciatori dalle intemperie e dal freddo, quelli più organizzati sono provvisti anche di stufetta e cucina da campo. Solitamente sono posizionati presso i chiari posti lungo le linee di migrazione e vicino alla fascia costiera, si tratta comunque di zone vocate al passo delle anatre. Sono provviste anche di gabbie in acqua per le anatre da richiamo che vengono posizionate, insieme agli stampi, alcune ore prima del sorgere del sole.

In ogni postazione, a secondo delle dimensioni, si trovano da due a quattro cacciatori. Oltre alle anatre vive e stampi fissi e mobili, si utilizzano richiami a fiato o a pistone che simulano il verso delle anatre. Anche se non è una caccia di movimento è molto faticosa perché costringe a delle levatacce mattutine in orari antelucani e si protrae per tutto il giorno; si svolge solitamente quando persistono condizioni meteo avverse con vento e pioggia e, visto che si svolge nel periodo autunnale/invernale, in zone poco coperte e pianeggianti esposte ai venti e alle intemperie, con temperature quasi sempre rigide e pungenti.

 

 

 

Ma d’altra parte queste sono le condizioni meteo che stimolano le anatre a mettersi in movimento e che costringono i branchi in migrazione a cercare riparo nelle acque calme di paludi, foci, laghetti, consentendo a chi le caccia di vivere delle belle giornate ricche della presenza di selvatici e di emozioni.

Tra gli appostamenti fissi, oltre il capanno, ricordiamo una forma di caccia specialistica ed appassionante che è quella in botte. Questa è un’attività che prevede una dedizione durante tutto l’anno per la preparazione dell’appostamento. Infatti, dove viene posizionata la botte, saranno necessari interventi di pulizia e di bonifica quando l’acqua è bassa o assente per eliminare canne in eccesso o accumuli di materiali e detriti trasportati dall’acqua durante l’inverno; sarà necessario anche sistemare la botte per renderla impermeabile.

Una volta aperta la stagione ci si recherà con il barchino o si ci farà accompagnare, nella zona dove sono state interrate e ancorate le botti che ora si troveranno a pelo d’acqua e mimetizzate con vegetazione. Con l’ausilio del barchino si posizioneranno gli stampi e gli zimbelli, stando attenti che il gioco sia posizionato sotto vento altrimenti le anatre selvatiche non lo cureranno trovandolo innaturale. Quindi dal barchino si entrerà nella botte e si avrà cura di affondare il natante capovolgendolo per non insospettire i selvatici. Esso verrà poi fatto riemergere a caccia terminata. In altre zone d’Italia il barchino viene invece nascosto all’interno della così detta “coveggia” che si trova alle spalle della postazione.

In tutti i casi si tratta di attività venatorie che permettono un vero tuffo nella natura, permettendo di conoscere e condividere aspetti non molto comuni a chi non pratica questo tipo di caccia, e di vivere un ambiente unico nel suo genere.

La caccia alle anatre si può svolgere anche da appostamento temporaneo, molto più comune al sud Italia, soprattutto quando si formano dei laghetti o delle marcite a seguito di abbondanti piogge. Se questi si trovano nei pressi di luoghi frequentati dagli anatidi o lungo i posti di transito, è possibile trovare capi singoli o branchi, intenti a ripulirsi nell’acqua dolce a riposare o cercare cibo.

Si tratterà sovente di canneti, di campi coltivati a granoturco o ortaggi ormai allagati che rappresentano per le anatre luoghi di irresistibile attrazione. Tali posti, una volta individuati, saranno ottimi anche per il rientro la sera. In questi casi l’utilizzo di appostamenti serve poco o è comunque difficile da realizzare vista la situazione occasionale, perciò serve un abbigliamento camouflage e l’esistenza sul luogo di ripari naturali, alberi, cespugli, canne etc, e la buona conoscenza del territorio.

È opportuno segnalare un’altra tipologia di appostamento per la caccia alle anatre che si sta sviluppando negli ultimi anni in risposta alla crescente tendenza a vincolare e proibire l’attività venatoria nelle aree lacustri. Si tratta dell’allestimento di appostamenti con parate e giochi presso i luoghi di pastura, come terreni coltivati a granoturco o stoppie dove non è sempre necessaria la presenza di acqua. Queste aree si trovano in prossimità di zone umide dove la presenza degli anatidi è consistente o perché ormai stanziali o perché luogo abituale di transito e svernamento. Creare le condizioni e i presupposti per cacciare le anatre in questi posti è un lavoro difficile e lungo perché richiede una preparazione anzi tempo per abituarle a pasturare in quel determinato luogo. Così si inizierà ad approntare il gioco con i richiami e i volantini diversi giorni prima, anche nelle giornate di silenzio venatorio, in modo da creare l’attitudine per i selvatici a recarsi in quel posto a pasturare fino al giorno in cui sarà possibile cacciarle.

 

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La caccia vagante alle anatre col cane

Un altro aspetto molto appassionante della caccia alle anatre è rappresentato dall’attività che si svolge col cane da ferma o da punta. Al contrario dell’appostamento questa non è un‘attività statica e si svolge quando è giorno fatto o nel primo pomeriggio perché sarà più semplice trovare le anatre in pastura tra i falaschi e i canneti, o tra i terreni incolti e parzialmente allagati e nelle marcite. Naturalmente con questo tipo di caccia si andranno ad insidiare tutte quelle specie di anatre che amano l’acqua bassa e la vegetazione più o meno fitta, o che soggiornano nei canali, corsi d’acqua o fossati ricolmi d’acqua, parliamo in particolare di alzavole e germani, più raramente mestoloni, fischioni, codoni.

Praticata col cane da ferma (i più indicati sono bracchi, spinoni, ma anche springer e breton e perché no anche la ritrovata razza italica del Restone Brachiuro) la caccia agli anatidi risulterà avvincente e molto stimolante per il cacciatore che avrà la possibilità di visitare, in compagnia del suo ausiliare, un ambiente unico per la bellezza che offre e variegato in termini di piante e avifauna che costella questo universo.

Questo tipo di caccia alle anatre avviene su un territorio molto variegato che va dall'acquitrino, che si crea nei terreni allagati, ai canneti con canali d’acqua, ai corsi d’acqua ricchi di vegetazione che offrono riparo e possibilità di pastura per gli anatidi, può diventare molto fruttuoso in termini di carniere e riserva delle emozioni uniche al cacciatore che può assistere al bel lavoro del proprio ausiliare e può cimentarsi in impegnativi tiri d’istinto, mettendo alla prova le proprie qualità di tiratore. In questi ambienti sarà facile trovare anche rallidi, trampolieri e beccaccini che arricchiranno la giornata di caccia e il carniere.

 

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Il tiro alle anatre

Nella caccia alle anatre il tiro non risulta molto semplice specie per i cacciatori neofiti di questa attività. Le motivazioni sono diverse.

Partendo dall’analisi fisica del selvatico, si deduce che si tratta di animali che presentano un’ottima resistenza al piombo e alle ferite grazie ai diversi strati di piume e piumino di cui sono dotate, alla muscolatura fortemente sviluppata tipica dei grandi migratori.

Ciò comporta non solo che le munizioni utilizzate devono essere ad alta prestazione e capaci di infliggere ferite profonde conservando, anche a lunghe distanze, un’alta capacità di penetrazione e forza di impatto, ma che la cattiva pratica di azzardare tiri fuori portata massima di fucili e munizioni causa spessissimo ferite, inutili sofferenze ai selvatici e quasi sempre la perdita del capo.

Altro aspetto da considerare è la distanza di tiro che non avviene quasi mai al di sotto dei 30 metri, e si capisce bene che a quelle distanze, sparando con canne molto lunghe e strozzate e con munizioni con piombo grosso sarà sufficiente una variazione minima per portare fuori bersaglio tutta la fucilata. Inoltre, se esiste una caccia in cui il concetto di anticipo e la capacità di sparare dove ancora non c’è il bersaglio prendono corpo e significato, questa è proprio la caccia alle anatre, infatti, la velocità e le dimensioni del selvatico tendono a ingannare il cacciatore relativamente alla reale distanza del bersaglio, per cui diventa facile sbagliare gli anticipi e il tempo. Quindi il cacciatore deve avere una certa confidenza al tiro al volo su selvatici veloci e ingaggi a lunghe distanze.

A questi aspetti si aggiunga che per la località di caccia e per il periodo in cui ci si cimenta, il freddo, l’umido,il vento, la pioggia, sono condizioni che mettono a dura prova le componenti delle munizioni, polvere ed innesco in primis.

La peculiarità della anatre di volare in branco spesso inducono i cacciatori a sparare nel mucchio, anziché mirare il singolo, con la conseguenza di non cogliere nel segno.

 

 

Nella caccia alle anatre da appostamento, capita spesso di sparare a fermo su selvatici che si sono posati in acqua, che si fermano sul gioco nel tipico volo verticale che precede l’atterraggio o che sono in procinto di atterrare; in questi casi il tiro non presenta grosse difficoltà tranne che per la distanza che obbliga a utilizzare un’arma magnum dotata di canne lunghe e munizioni progressive per raggiungere col maggior numero di pallini possibili il selvatico.

Quando invece ci si cimenta in tiri su selvatici in transito che non sempre decideranno di curare fino in fondo i richiami ma che mantenendosi ad altezza di sicurezza decideranno di sorvolarlo, allora il tiro sarà più impegnativo.

Durante i vari passaggi dei selvatici è obbligatorio l’assoluto immobilismo, il cacciatore dovrà decidere di muoversi solo quando avrà intenzione di sparare. L’attimo giusto sarebbe quello in cui le anatre affronteranno il giro sul gioco con fronte al vento che rallenterà un po’ la loro velocità costringendole, se teso, anche a diminuire l’altezza, allora quello sarà il momento più opportuno per provare ad abbatterne qualcuna.

Comprendere di che tipo di anatra si tratta guardandone il volo, ci aiuterà a capirne le dimensioni e valutare la distanza di tiro e quindi ad effettuare il necessario anticipo che sarà quasi sempre generoso, considerando distanza, velocità e progressione della munizione, per cercare di indirizzare la rosa dei pallini verso i punti vitali del collo e della testa.

Quando il cacciatore si trova a dover sparare alle anatre in branco, sia che esso sia raggruppato, nel caso delle alzavole, o in formazione, nel caso delle anatre maggiori, è necessario che mantenga il sangue freddo individuando l’obiettivo che si vuole colpire nel branco, evitando di sparare inutilmente a casaccio nel mucchio.

In questo modo sarà possibile sparare anche a più di un selvatico e potrebbe anche succedere che la rosata colpisca anche il selvatico vicino a quello mirato effettuando due abbattimenti con un sol colpo.

Nel tiro alle anatre in branco, comunque, sarebbe sempre opportuno cercare di colpire il capo stormo, abbattendo quello, l’intero stormo per un attimo si ricompatterà cercando la direzione persa e in quel momento molti selvatici offriranno la possibilità di effettuare dei tiri proficui.

Nella caccia vagante o col cane da ferma il tiro risulta abbastanza agevole sulle anatre di grosse dimensioni specie se si effettua al momento dell’incolonnamento, più sportivo e adrenalinico sulle alzavole che hanno la capacità di prendere subito velocità all’involo. In questo tipo di caccia si deve curare un aspetto importante che è quello di accostare i selvatici sottovento.

Potrà capitare spesso che le anatre tengano la ferma del cane e che consentano al cacciatore di ben posizionarsi per effettuare un tiro agevole, altre volte potrà succedere che non daranno il tempo di raggiungere il cane in ferma e decideranno di involarsi lunghe costringendo a tiri impegnativi.

 

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Il fucile per la caccia alle anatre

Considerando le restrizioni e i divieti che esistono relativamente all’utilizzo delle munizioni in piombo nelle zone umide e palustri, si conviene che ci sia poca possibilità di scelta relativamente al tipo di fucile da impiegare. Di base questo dovrà quindi essere un magnum calibro 12 o 20 con canna gigliata in grado di sparare munizioni in acciaio o comunque “no-Toxic”.

Per quanto riguarda il tipo di fucile da impiegare, per antonomasia in questa caccia la fa da padrone il semiautomatico e non solo per la comodità di avere il terzo colpo. Certamente non è da sottovalutare il fatto che quarant’anni fa o forse più, quest’arma consentiva di sparare 5 colpi, entrando di fatto nella letteratura e nel “corredo d’ordinanza” del cacciatore di palude.

Però resta il fatto che oggi, nella caccia da appostamento soprattutto, risulta essere un’arma di più facile brandeggio e maneggevolezza, oltre che ad ispirare una maggiore robustezza riguardo alle munizioni pesanti che si sparano, e sia il sistema a recupero gas che l’inerziale fanno la differenza in tema di rinculo, e “rusticità” inteso come capacità di resistenza delle parti meccaniche e metalliche al difficile ambiente in cui si svolge la caccia alle anatre.

Inoltre, in questa forma di caccia, incide poco il vantaggio di avere due canne con diverse strozzature, una canna lunga almeno 71 cm con strozzatura full o ** è la più consigliata. Discorso diverso nella caccia vagante che non svolgendosi in zone palustri, laghi o pantani, ma su terreni umidi che non rientrano nella convenzione di Ramsar, non ha limitazioni nell’uso delle munizioni lead free.

Il semiautomatico, in questa forma di caccia, è sempre gettonatissimo ma non si disdegna l’uso di sovrapposti e doppiette sempre con canne lunghe almeno da 71 cm e strozzatura classica 3/1 o 2/1. Per quanto riguarda il calibro da utilizzare consigliatissimi sono il 12 e il 20, ma se si vuole provare un’attività più sportiva si può propendere anche per il calibro 16 o il 28 che grazie alle loro capacità balistiche non faranno rimpiangere i fratelli maggiori.

 

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La cartuccia per la caccia alle anatre

Il discorso munizioni è legato a quanto detto relativamente alle restrizioni nelle zone umide. Molte sono le case di produzione che si sono orientate sull’acciaio ma ulteriori studi hanno condotto all’utilizzo di altri materiali nell’ottica di trovare le migliori prestazioni balistiche. Così aziende come Baschieri & Pellagri si sono orientate verso l’utilizzo del tungsteno ad esempio, non sottovalutando anche il munizionamento con acciaio e rame.

A causa di queste limitazioni sull’uso delle munizioni si è in automatico ristretto il range di scelta del calibro da utilizzare e della numerazione dei pallini. Infatti si possono trovare solo munizioni in calibro 12 o 20 e numerazioni di piombo che vanno dal 2/0 al 7. Resta il fatto che per le condizioni climatiche in cui si svolge la caccia alle anatre, per la resistenza alle ferite del selvatico, per le distanze di tiro sempre generose, sarà opportuno scegliere munizioni ad alte prestazioni in modo che si possa avere la massima affidabilità nell’esercitare una delle forme di caccia più appassionanti e coinvolgenti che esistano nel panorama dell’attività venatoria da appostamento e non.

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Il giorno giusto per la caccia alle anatre

Non so se esista il giorno giusto per cacciare le anatre, ma quell’8 Dicembre veniva di Lunedì, dopo tre giorni ininterrotti di pioggia, temporali, vento e freddo. Alle 3 del mattino l’aria ovattata e pungente del pantano era piena di tutti gli odori delle canne bagnate, delle erbe salmastre, del fango e del temporale passato da poco ma ancora in agguato.

Sopra di noi una volta piena di stelle brillanti era striata ancora da pesanti nubi rischiarate da sotto, dalle luci della strada litoranea in lontananza, mentre all’orizzonte lampi continui illuminavano possenti cumulonembi a est. Al moto continuo della risacca del mare che si infrangeva sulla battigia riversando nell’atmosfera un pulviscolo di salsedine, si mischiava lo sciacquio dei cacciatori di palude che, occupate le postazioni segnalate con una torcia elettrica accesa a intervalli o semplicemente con una sigaretta che qualcuno teneva in bocca, iniziavano a preparare il gioco degli stampi predisponendoli davanti l’appostamento.

Il vento teso di libeccio si contrapponeva al temporale a oriente gonfiando il mare, questo era un buon segno perché così le anatre, dopo i primi spari, non sarebbero andate verso mare ma sarebbero tornate verso i pantani a cercare acque calme così come avrebbero fatto i branchi in migrazione che con quel tempo non avrebbero affrontato la traversata del canale.

Con il vento di libeccio la postazione migliore era “Costa Paletti”, mentre se fosse stato da est, sarebbe stato meglio pantano “Burgio” o “Cozzo Pietra” o meglio ancora lungo il canale di “Cancaleo” che divideva i due pantani Burgio e Longarini. Al pantano della “Cuba”, come Cozzo Pietra d’altra parte, buoni con tutti i venti per la conformazione e prossimità al mare, neanche a pensarci di andare perché i posti erano presi da diversi giorni. Arrivati alla nostra postazione, una palizzata di legno e canne con delle mensole ricavate per appoggiare cartucce, binocolo e qualche bottiglia, usammo come sedute delle cassette di plastica, di quelle che si usano per gli ortaggi, impilate a due o tre a seconda dell’altezza del cacciatore, i piedi a mollo, a destra e sinistra ci mimetizzavano dei cespugli di vegetazione palustre.

 

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Adagiati gli attrezzi, don Nino, così lo chiamavano tutti quando gli si rivolgevano ma alle spalle lo prendevano in giro col soprannome di “picciriddu” (bambino) per la sua statura molto bassa, mi passava le anatre vive per il richiamo, le tirava fuori dalla gabbia, le accarezzava per rassicurarle, assicurava l’anello di gomma a una delle zampe e questo alla zavorra e mi diceva dove posizionarle. Le femmine da un lato a 30 metri dalla postazione, i due maschi di fronte dall’altro lato a formare un delta con la palizzata e sempre al riparo del vento a ridosso del piccolo promontorio che dominava il pantano da quel lato.

A una cinquantina di metri posizionai, sguazzando nell’acqua con gli stivali a coscia, gli stampi di plastica, germani, codoni e moriglioni, alzavole e fischioni in modo da lasciare un’area vuota, una landing zone, tra l’appostamento e i richiami, al riparo del vento e delle basse canne della riva, che invitasse i selvatici ad atterrare in quell’area. Sistemato tutto, nel pantano tornò la quiete, adesso era solo il vento che scuoteva l’acqua, le anatre vive iniziarono a chiamare. Dopo poco la mattinata fredda e che preannunciava tempesta si animò, udivamo un’infinità di battiti d’ali che fendevano l’aria e fischi e gorgoglii, ma era troppo buio per vedere qualcosa. Di tanto in tanto dei tonfi tra gli stampi ci facevano sobbalzare, erano anatre selvatiche che si tuffavano vicino le germanate o a quelle di plastica, intravedevamo i cerchi nell’acqua quando si tuffavano giù e poi le risentivamo frullare via.

Il primo colpo venne esploso alla Cuba, che ancora in cielo una timida luce permetteva di distinguere appena i contorni delle canne. Il colpo secco e nitido come il suo eco si ripercosse attraverso l’aria ovattata dell’avvallamento, ci fece passare di colpo il freddo e fece ammutolire la natura. Gli occhi iniziarono a scrutare se in volo e a pelo d’acqua qualcosa si muovesse, quando sempre alla Cuba, il crepitio dei fucili e le continue scariche ci fecero capire che i selvatici si erano messi in movimento. In lontananza nell’incerta luce ad est, sullo sfondo grigio, lenti, all’apparenza, e in lunghe fila che sembravano le dita adunche e secche della mano di un anziano, corpi tozzi e neri, uno dietro l’altro, risaltavano sullo sfondo rischiarato dai lampi.

 

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Man mano che passavano sulle postazioni, le folaghe, subivano la loro dose di schioppettate e molte cadevano ma tante altre continuavano fino a conquistare il centro del pantano di Longarini, dove si lasciavano cadere a peso morto riunendosi in un gruppo compatto, troppo profondo per essere raggiunte e troppo distante dalle rive per venire minacciate dal piombo. La tensione si alleviò sulle prime che si affacciarono alla nostra postazione, poi basta perché noi aspettavamo le anatre.

Queste, partite con i primi spari, ritornarono ben presto dal giro fatto verso mare, una scarica di fucilate al pantano Burgio, poco davanti a noi, mi fece tendere i sensi. Sullo sfondo grigio, appena chiaro, vidi una sagoma avanzare, si vedeva solo il corpo ma non le ali, lentamente drizzai il mio beretta cal.12/70 1200 F con canna Benelli da 71 cm *, avevo al primo colpo una MB B&P Bianca piombo 6, una delle poche munizioni in grado di funzionare con la forte umidità di quel luogo e a pochi chilometri dal mare, ma soprattutto eccezionale con i venti occidentali, col fucile in movimento, non vedendo ancora il mirino per la scarsa luce, seguendo la linea della canna cercai di immaginare dove fosse la testa e strinsi il grilletto, il colpo secco con tanto di fiammata al vivo di volata, tranciò di netto il volo di un bellissimo fischione maschio che mi si accartocciò tra i piedi; e fu l’inizio di una giornata come poche fatta di alzavole, mestoloni, moriglioni, fischioni e canapiglie, tutto in un susseguirsi di emozioni e sensazioni che solo nei ricordi si possono gustare.

In giornate come quella non si aveva il tempo di pensare solo di ricaricare, osservare, seguire, abbassarsi, rialzarsi e sparare e riempirsi il cuore e l’anima guardando quel cielo tempestoso riflesso nella lente del pantano, solcato da innumerevoli migratori come rarissime volte se ne erano visti, e quel carniere dai variopinti colori verde, grigio e nero,bruno e rosso, tabacco e bianco, dalle soffici piume, dai corpi molli e nobili adagiati tra l’erba salmastra per un ultimo saluto alla natura tanto amata.

 

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Saro Calvo

Siciliano, classe 1975, vive nel sud est dell’isola in provincia di Ragusa dove lavora presso uno studio di consulenza, ed esercita con passione l’attività venatoria con 26 licenze all’attivo. Molto legato al proprio territorio, pratica la caccia col cane da ferma alla stanziale e alla migratoria. Si è appassionato, negli ultimi anni, all’uso del calibro 28 in tutte le forme di caccia e alla ricarica domestica, sempre alla ricerca della giusta munizione. Convinto lettore, ama approfondire tematiche riguardanti l’ambiente, la cinofilia, la ricarica e la caccia vissuta in tutte i suoi aspetti, anche quelli letterari. Sostenitore del connubio caccia/ricerca scientifica, dalla passata stagione venatoria fa parte del gruppo di monitoraggio per la beccaccia della provincia di Ragusa, in collaborazione con l’Unione per la Beccaccia e la FANBPO.

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