Di storie legate alla caccia alla regina dei boschi ce ne sono infinite e se ne sono scritti libri. Mi fa piacere però condividere anche la mia storia personale, il mio rapporto tutto particolare con questo enigmatico selvatico. Parto col dire che c’è stato un periodo, intorno al 2000, quando mi sono imposto di non dedicarmi più alla caccia alla beccaccia. Il motivo scatenante di tale scelta dipese dal fatto che con l’inizio del nuovo secolo venne a mancare il mio fidato ausiliare Zeiro, un bracco italiano bianco arancio dell’allevamento della Croccia di Reggio Calabria del dott. Santo Laro.
Si trattava di uno di quei cani che un cacciatore possiede rare volte durante la sua vita, univa la poco comune bravura venatoria a doti eccezionali di collegamento.
Mi aiutò a scoprire molto del mondo degli scolopacidi, “insegnandomi” punti di sosta, di pastura e rimesse e anche astuzie e diversivi. Avevo circa 22 anni quando dopo una tre giorni alle beccacce con un amico del Lazio, questi mi propose per il bracco ben 5 mln di vecchie lire e un fucile semiautomatico Beretta Urika nuovo, naturalmente lui tornò a casa col suo fucile e il suo assegno ed io col mio fedele amico.
Con lui, insomma, avevo condiviso le migliori giornate e avventure a beccacce dall’età di 16 anni fino a quando la natura non decise di separarci. Avendo scelto di non dare seguito a questa corrente, un po’ per rispetto alla memoria del mio ausiliare e un po’ per rispetto dell’amato selvatico, cacciato con tanta passione e ardore, tipico dell’età giovanile, fui quindi propenso per una pausa venatoria.
Mi dedicai alla caccia alla migratoria in generale, senza utilizzo di ausiliari, da appostamento temporaneo. Così passavo dall’apertura a tortore e colombacci, cacciati all’abbeverata o in pastura e al rientro la sera alla caccia ai tordi anche allo spollo; anatre, qualche allodola, insomma si vivacchiava, venatoriamente, parlando.
La svolta e la ricerca
Intanto gli anni passavano e anche la famiglia cresceva e un giorno del 2016 successe che la grande, dei due miei figli, mi chiese “Papà… perché non mi prendi un cane?”, subito seguita dal piccolo che a tono canzonava “vogliamo un cane, vogliamo un cane”; sul momento non ci feci caso, ma successe come quando ascolti una canzone dopo tanto tempo, legata a un ricordo del passato, mi si riaprì una ferita mai guarita, di colpo sentii il rimorso di aver rimosso dalla mia vita venatoria la caccia col cane e, soprattutto, la più amata della cacce, quella alla beccaccia.
D’un tratto mi ripervase il sentore del bosco, la tramontana che mi gelava le nocche delle dita, l’odore di salvia, di funghi e di muschio e quel dolce suono “papapapa-pa-pa-pa” che si diradava e allontanava tra i rami secchi di vecchi ed esausti carrubi come i pensieri leggeri della giovinezza quando ti volti indietro e li vedi così lontani, ma pur sempre presenti e irraggiungibili.
Mi informo velocemente sulla disponibilità di qualche cucciolo tra gli amici del luogo (e dico a mia moglie “è per i bambini…” ma tutti sapevamo che non era vero) ma con scarso successo, mi informo con gli allevamenti ma i prezzi sembrano gravemente lievitati rispetto alla lira e troppo esosi per le mie finanze. Inaspettato dalla lontana Marsala, un amico conosciuto occasionalmente, mi fa dono di un cuccioletto di Breton.
L’arrivo di Lucky
L’arrivo in casa di Lucky fu esaltante per i miei figli, meno per mia moglie, e pieno di speranze e dubbi per me. Non sapendo niente della sua progenie, a parte che era figlio di cani da caccia, né di eventuali doti venatorie dei genitori, inizio subito l’addestramento al riporto.
Mal che vada mi farà compagnia nella caccia al tordo occupandosi di riporto, pensavo mentendo a me stesso; perché la voglia di “provarlo” nella “cava” (canyon naturali ricchi di vegetazione e macchia mediterranea, tipici dell’areale ibleo dove lo scolopacidae ama soggiornare) era tremendamente forte e il richiamo di “Londiniana” memoria, estenuante.
La prova, tra delusione e speranza
Più di un anno dopo, giunto il mese di novembre che per antonomasia è quello delle beccacce, soprattutto al sud (anzi ai tempi andati la prima beccaccia la trovavo sempre per il giorno dei morti, lo consideravo come un regalo speciale dello spirito dei miei antenati i quali, ormai tutt’uno con la natura, pilotavano questo ricongiungimento per dirmi “noi ci siamo”) col cucciolone di 18 mesi, mi avvio ad esplorare quelle rimesse che da sempre mi avevano regalato grandi emozioni perché lì l’incontro con la beccaccia avveniva sempre.
Col tempo, in seguito, le avrei tralasciate perché se da un lato mi assicuravano l’incontro, questo era sempre singolo e quasi sempre impossibile da ribattere se non si risolveva tutto al primo “round”, per usare un termine pugilistico.
Le prime battute mi lasciano ben sperare, il Breton gira bene e sembra molto più a suo agio su questi terreni scoscesi, che in pianura a quaglie, entra ed esce dal folto senza problemi si allontana quanto basta a coprire il terreno che un cacciatore solitario come me può coprire, è molto attirato dal bosco e dalle trame fitte, so che è un buon inizio, ma non vuol dire niente, negli anni ho visto bellissimi cani, forti atleticamente, affrontare in modo eccelso il terreno, batterlo a perfezione, con stile e portamento, ma non trovare nulla.
Inizialmente il suo interesse è attirato da merli e da qualche tordo, lo redarguisco e mi fermo per farlo smettere.
Alla ripresa, la sua testa e sempre su quegli uccelli, e i primi giri non mi danno ragione sulla presenza delle regine o forse è il cane?!
Foschi presagi all’orizzonte
Ecco che si addensano all’orizzonte foschi presagi, un errore affidarmi ad un cane senza pedigree, senza storia, errore più grande voler riprendere la caccia alla beccaccia dopo tutti questi anni, insidiare la regina nel suo regno con un anonimo ausiliare, follia; però forse non ce ne sono più come un tempo, hanno cambiato areale a causa del mutamento climatico, o è colpa del cane? Però è ancora cucciolo, no non è colpa sua, o forse sì?
Il fatto è che non ce l’ha proprio nel sangue, non la sente, e adesso? Che occasione che ho sprecato, peccato avrei potuto spendere qualcosa e almeno prenderne uno con una buona genealogia, avrei avuto più possibilità.
Basta, sono condannato a tordi e colombacci a vita.
Ritorna la speranza
Continuavo ancora a rimuginare, ma i cani che ho avuto quando hanno fermato la prima beccaccia? Forse a dodici mesi o a due anni.
Cerco di fare mente locale sui ricordi del passato e intanto giro su e giù sui fianchi di piccole depressioni, mi accorgo solo all’ultimo momento del cambio di passo di Lucky, non ferma ma è come se seguisse un percorso invisibile con testa, collo e spalle in linea e “papapapa-pa-pa-pa” s’incolonna una bellissima beccaccia alla cui vista io sussulto e padello alla grande.
Mi riprendo dal colpo, Lucky agitatissimo sulla calda della beccaccia, riesco a scorgere la rimessa non molto lontano, stranamente la beccaccia invece di gettarsi nel folto vira verso un carrubeto sul fianco della cava che stavo battendo, un posto facile e abbastanza aperto, perfetto per un cucciolone.
Mi allargo, mi porto in zona sottovento, invito il mio ausiliare a camminarmi davanti, ma lui va da tutte le parti tranne dove dico io, “non la sente, non la sente, è tempo perso” con un sorriso amaro questo penso, quando ad una ventina di metri comodamente posata sotto un albero tra l’erba alta una spanna, leggera e potente la regina si invola, non le sparo neanche non sarebbe giusto.
Chiamo il cane per fargli odorare dove si trovava la beccaccia, ma lui superficiale e rapido passa e va oltre.
Delusione cocente, è stato un puro caso che l’abbia trovata, sto cane a beccacce non vale niente. La regina, intanto si era rituffata nel folto, ma stranamente nella direzione da cui era partita.
Proseguiamo la nostra passeggiata seguendo la direzione del volo della beccaccia, mille presagi oscuri si susseguono nella mia mente, e di nuovo vedo Lucky che alleggerisce il passo, sempre in posizione eretta, e fila dritto verso un enorme rovo che si inerpica sullo scheletro di quello che era un vecchio e possente carrubo.
Fa un paio di giri, cerca un ingresso e si infila.
Trema tutto il rovo poi silenzio, a un certo punto battito d’ali, il cane che gli da sotto anche in mezzo alle spine, le ali si impigliano il battito si smorza, mi abbasso e vedo Lucky che prova ad addentare la reggina mentre un rovo gli blocca collo e petto impedendogli di avanzare, un ciuffetto di penne gli resta tra le labbra, lei si lascia cadere e una volta a terra corre, velocissima verso l’uscita, appena fuori si libra in volo percorre dieci, quindici metri, qualcosa la blocca in aria e poi risuona lo sparo.
Tra un turbinio di piume Lucky mi adagia sulla mano la prima beccaccia della sua vita e la prima del mio nuovo libro a lei dedicato.
La speranza: dalla stagione 2017/2018 in poi
L’annata andò avanti tra tanti bassi e pochi alti, tanti gli errori ma tantissime le speranze per l’anno nuovo. Iniziammo ad affrontare terreni via via più difficoltosi, sempre da soli e sempre ostinati.
Le beccacce si rivelarono molto difficili in quella stagione e il cucciolone senza poche difficoltà cercò di dare il meglio di sé.
Le due azioni più belle che io ricordi furono a fine dicembre, quando con il suo tipico atteggiamento indifferente e freddo, Lucky riuscì a trovare due bellissime beccacce che fortuna volle farmi incernierare, e una sul finire di gennaio, trovata due volte sotto dei rovi davvero intricati, alla terza rimessa il mio ausiliare iniziò a guidare a distanza notevole consentendomi di capire dove poteva essere il selvatico e di farmi piazzare in posizione ottimale per il tiro che puntualmente avvenne dopo una ferma sufficientemente lunga.
Iniziata la stagione 2018/19 l’unico pensiero era rivolto a capire se Lucky si ricordasse ancora dell’usta della Beccaccia.
Il primo giorno utile a disposizione fu per San Martino.
Iniziai affrontando da subito il terreno giusto, l’habitat era perfetto ma il clima un po’ troppo caldo, dettaglio però trascurabile poiché nelle passate stagioni le prime arciere le avevo trovate con ancora le maniche corte.
Visito due tre posti di quelli che sempre hanno ospitato le prime beccacce, ma non ne trovo traccia; decido quindi di addentrarmi ancor più nel folto. Vedo Lucky che gira abbastanza bene, sembra ricordare bene quel tipo di terreno, e inizia a tirare col naso al vento. Avvicinatomi alla sua posizione noto del muschio grattato, foglie scompigliate, mi sembra la pastura di almeno una beccaccia, forse due.
Inizio a sondare i posti di pastura e rimessa più frequentati e non trovando nulla allargo il cerchio verso quelli meno frequentati.
Ed è in uno di questi che una volta entrato il mio ausiliare, percepisco un cambio nel rumore del campanellino (perché a me piace ancora ascoltare il rumore dei passi del mio ausiliare nel sottobosco accompagnato dal dolce tintinnio), un cambio di passo, un atteggiamento più circospetto, l’adrenalina sale, la concentrazione aumenta, non si sente più alcun rumore.
Nel silenzio dell’attesa il volo silenzioso di una beccaccia attira la mia attenzione uscendo dal cespuglio alla mia sinistra, sembra una farfalla mentre il campanello inizia a risuonare, due botte in successione, piume ovunque, Lucky riporta.
In conclusione
L’ennesima grande lezione che mi ha lasciato questa caccia appassionante ed unica è che una, dieci, venti beccacce incarnierate non contano più, il mio obiettivo è stato di ricercare e ricreare in quel mondo, cacciatore – cane – beccaccia, l’equilibrio che avevo trovato e abbandonato tanti anni prima.
Un equilibrio sempre precario e difficile, fatto di intese tra esseri appartenenti a mondi diversi, suoni mesti ma allo stesso tempo profondi e gravi che accarezzano le corde più nascoste del tuo ego, fatto di sguardi e brevi cenni col tuo ausiliare, di rispetto per tutto il creato.
Vivere quegli attimi dove il tempo perde il suo valore e si fa denso, quasi tangibile, scorrendo piatto, attimi che precedono l’incontro e che attivano tutti i sensi dell’essere cacciatore, anche i più sopiti, attimi che succedono all’incontro e che ti lasciano un senso di vuoto e di sconforto, a volte anche di frustrazione, che solo l’allegria contagiosa del tuo cane può lenire.
Il lavoro è stato ed è difficilissimo, ma molto soddisfacente e gratificante, e sempre contraddistinto da quel continuo divenire che ci dona speranza.
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