Saro Calvo, è un nostro collaboratore ed amico, ma soprattutto è un cacciatore, amante in modo evidente della Natura e degli animali come pure dell’ ambiente naturale, in cui nella sua bella Sicilia ama vivere, respirarne l’aria e riscoprire tramite la caccia col suo cane nella sua terra, tradizioni e sensazioni meravigliose.
Saro, scrive fluidamente lo fa con grande naturalezza grazie alla sua sensibilità; leggendolo appare evidente nell’espressione della sua passione, un incondizionato amore per la vita, ma anche un attaccamento alle sue origini.
Il suo viatico è la caccia, la caccia intesa all’antica maniera, che lui sente e vive molto intensamente.
il suo scritto, trasmette efficacemente a chi lo legge quello che riteniamo sia lo spirito, il modus vivendi e un po’ anche la “filosofia di vita” degli uomini cacciatori, veri naturalisti sensibili, giusti e rispettosi, grati di aver ricevuto come dono una preda, un selvatico che si portano a casa per onorarlo consumandolo con i propri amici ed i propri cari.
In un’epoca in cui è sempre più difficile trovare buone letture e soprattutto identificarsi nelle emozioni altrui, abbiamo provato leggendolo sensazioni molto simili alle stesse da noi vissute per questo riteniamo sarà molto piacevole ed appagante anche per voi trovare in quest’opera un giovane uomo in cui ci potremmo quasi riconoscere.
In un epoca in cui la caccia viene troppo spesso travisata e offesa, è bello rilevare con quanta efficacia ed eleganza si possano descrivere le nostre sensazioni ed emozioni a caccia per difenderla in modo onorevole, educato e raffinato, facendola risorgere dalla falsità in cui viene da decenni annegata.
Saro, ha dato una forte ispirazione, Dio voglia che altri seguano il suo esempio, perché in questo modo e solo in questo, si può sperare di far risorgere questa nostra vituperata passione e far prevalere il buon senso e la verità su quanto purtroppo da anni è stato fatto volutamente e subdolamente per offuscare la reale importanza, la bellezza ed il valore di questa antica atavica ed umana attività.
E’ da queste opere pacate ma intense che la gente potrà capire chi siamo noi Cacciatori, cosa vogliamo e cosa speriamo accada; speriamo che leggendoci tutti possano aver chiaro che il nostro fine e desiderio supremo è tutelare e salvare ambiente e fauna, quella meravigliosa Natura, che amiamo ma che siamo accusati di voler distruggere.
Un estratto da “Il cacciatore” di Saro Calvo, tratto da: ”Scacco alla Regina”
8 Dicembre 1997
Mio zio Paolo che vive nel litorale laziale a S.Severa, stimolato dai racconti delle numerose avventure a beccacce che gli raccontava mio padre nel resoconto domenicale, quando si sentivano al telefono, decide di venirci a trovare nel periodo a cavallo dell’Immacolata per un fine settimana lungo di caccia.
Porta con sé un suo amico Romualdo, un omone, anche lui di quelle parti, laziale puro sangue. Purtroppo quell’annata non era stata eccezionale, o meglio era iniziata presto e bene, ma proprio verso dicembre a causa di un innalzamento della temperatura, la presenza di regine si era fatta molto scarsa.
Così il sabato e la domenica, eravamo riusciti a trovarne solo quattro incarnierandone tre.
Alternavamo la caccia alla beccaccia con qualche puntata ai pantani, dove le anatre erano in buon numero così anche le folaghe. Romualdo si divertiva a sparare appena vedeva un volatile, si capiva che alla fine lui era contento lo stesso per la gita e per l’ambiente così vario che stava scoprendo in questo angolo di Sicilia.
La domenica pomeriggio sul tardi inizia a girare una bella tramontana, si abbassa la temperatura e la sera vien fuori una luna bianca, la cui luce argentea illumina a giorno il terrazzo e la cuccia di Zeiro. Lo osservo mentre divora il suo pasto, le macchie arancioni sul manto bianco sembrano prendere forma.
Ogni tanto lascia il pasto, mi osserva e batte la coda contento per la mia presenza.
Fa freddo.
L’indomani è l’ultimo giorno utile per andare a caccia per i nostri ospiti. Mio padre riprende a lavorare, io sono in pausa all’Università. Quindi li accompagnerò io per un’ultima e probabilmente inutile scarpinata.
Partiamo in tarda mattinata, decido di visitare un posto vicino al paese. Percorriamo la lunga trazzera, il bracco ci accompagna con la sua agonia da mal d’auto.
Ho deciso di non portare il fucile così, nel caso dovessimo incontrare la regina, io potrei servire il cane lasciando ai due ospiti il “piacere” di cecchinarla.
Il cane gira sciolto e bene, il bubbolo è vispo. Visita tutte le prime rimesse classiche, ma non sembra dar cenno di sentire alcuna emanazione.
Camminiamo vicini, in attesa di un cenno, non c’è poesia in questo momento; se non fosse per la presenza di mio zio Paolo, mi sentirei di aver prostituito i miei luoghi e il mio cane e anche di aver tradito il rapporto con le mie beccacce.
Succede che il buon Romualdo mi dice che si è stancato di portare il fucile così me lo passa.
È un semiautomatico nuovo fiammante, un Urika della Beretta in Calibro 12.
L’avevo visto solo in foto sulla rivista Diana. Uno spettacolo di arma, equilibrato, con dei bei legni; “chissà come viene allo sparo” penso curioso.
Ma proprio in quel momento non sento più il campano.
Allo schiocco della lingua segue un silenzio ricco di speranza, faccio cenno di proseguire in fretta verso dove l’avevo sentito l’ultima volta. Arriviamo trafelati, tra la salvia, il bracco è fermo indicando un piccolo boschetto di lentisco a carrubi selvatici.
Faccio cenno a mio zio di allargarsi sulla sinistra del cane e tendo il suo fucile a Romualdo per farlo sparare, ma inaspettatamente lui mi dice di tenere il fucile, perché il cane lo vuole servire lui.
Mi allargo allora sulla destra, inquadrando una possibile via di fuga della regina. Il mio ospite si avvicina con passo leggero, nonostante la mole, al bracco che sempre impietrito divora l’aria fredda e ricca di molecole odorose.
La beccaccia deve essersi mossa, perché il bracco rompe ed entra nel fitto.
Di nuovo silenzio, Romualdo mi fa cenno che lo vede e quasi commosso, si passa nervosamente la lingua sulle labbra, avanza di qualche passo e si piega in avanti.
Parte la Regina gli passa davanti, penso che potrebbe prenderla con le mani, tanto gli è vicina, la lascio allungare qualche metro, non ricordo più di non avere il mio fucile e in automatico sparo un colpo.
Il piombo caldo vaporizza la guazza sulla canna e sulle foglie di un albero di fronte, delle piume leggere si posano a testimoniare il fatto accaduto, Zeiro mi riporta in mano il suo regalo.
Accarezzo la sua testa massiccia e squadrata, oggi siamo stati di nuovo la serpe che ghermisce la rana, il falco che colpisce la serpe, non c’è tragedia in questo, è il nostro ruolo naturale.
Continuiamo così la giornata, Romualdo decide di servire solo il cane, deve essere una persona che ha cacciato molto, che non ha bisogno di sparare sempre, mi ricredo sulla sua persona.
Mi lascia il fucile, è eccezionale, non uso mai il secondo colpo, ma solo quattro prime canne quel giorno, ne lascio sparare tre a mio zio che con la sua doppietta spagnola non fallisce un colpo.
Alla fine della giornata, siamo tutti stanchi ma molto soddisfatti, ci sediamo a goderci il panorama mentre la sirena dell’orologio del paese ci segnala che è mezzogiorno.
Zeiro mi si accovaccia ai piedi, leccandosi qualche ferita fattasi tra i rovi; Romualdo mi dice che vuole regalarmi il fucile e mi chiede di vendergli il mio Zeiro: mi darebbe un assegno da cinque milioni!
Non sono mai stato molto diplomatico e da ragazzo lo ero ancor meno, gli rimetto il fucile in grembo, mi alzo col bracco che percepisce il mio stato e mi segue a ruota superandomi e mi allontano subito.
Arrivato in auto poso le beccacce, carico il mio cane nel trasportino di legno fatto appositamente per lui e quasi offeso non li aspetto neanche.
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