Come ogni anno, la fine della caccia era arrivata col mese di marzo, la stagione era stata chiusa degnamente con una bellissima mattinata in valle, Alberto, invitato insieme al nonno, aveva cacciato con lui dalle botti gemelle di un noto appostamento d’acqua e la mattinata, generosa fin dall’alba, aveva portato marzaiole e codoni in buon numero sulla tesa, facendo ottenere loro divertimento soddisfazione ed un pregevole carniere da ricordare.
Una seconda bella cacciata era poi accaduta al prato, cacciando gli stornelli, le pavoncelle ed i pivieri dorati; il nonno era un buon fischiatore e la mattina era passata in un lampo, vivendola con passione e sparando con criterio agli uccelli che curavano il gioco perfettamente e con poca malizia, il rozzo si era fatto pesante e degno di essere immortalato anche stavolta da una foto storica.
Poi il 10 marzo, la stagione venatoria era finita, era stato un dolore per il giovane, un fatto normale che seguiva lo svolgersi dei momenti della vita vissuta, per il nonno.
I doveri di fine caccia
Nei giorni successivi si diede spazio ai vari doveri di “fine caccia”, puliti i fucili, sistemate tutte le varie attrezzature, il capanno smontabile in tela, gli stampi, le leve dei richiami vivi, le pertiche per gli storni, le aste per i colombacci, tutto sistemato e lavati e riposti l’abbigliamento e gli stivali, ora aveva inizio quel lungo periodo primaverile/estivo in cui tutto si sarebbe fermato, per molte settimane, alcuni mesi.
Fu proprio durante la pulizia e manutenzione delle armi, che il giovane incuriosito, prese dalla fuciliera il sovrapposto MAP Perazzi SC1 da tiro del nonno, lo osservò interessato, il lungo e pesante fucile a due canne era ben bilanciato, la piega del calcio dritta permetteva di mettere l’occhio sul centro della bindella, tutta ben visibile e di trovare facilmente il mirino bianco alla sua estremità.
Imbracciato insistentemente più e più volte, sentiva che gli piaceva quello strano fucile che veniva perfettamente alla spalla; il nonno gliene aveva parlato più volte, ma non lo aveva fino ad ora mai trovato interessato. Ogni volta, il nonno provava invece gran piacere nel guardare, imbracciare e anche solo stringere quel suo vecchio fucile che era stato un pilastro della sua vita tiravolistica.
Il vecchio MAP SC1, aveva canne di 74 centimetri, strozzate 7,5 e 11 decimi, bindella concava e calcio in vecchio stile sottile nella pistola e nella pala, dritto ed affilato, piuttosto deviato a destra.
Quello era il suo attrezzo per la pedana, il fucile da tiro al piattello, da lui usato anche alle gare al piccione e allo storno, con quello aveva vinto tante gare e ricevuto tanti allori, la montagna di coppe nel suo studio erano quasi tutte arrivate grazie a quel solido sovrapposto, che solo per la sua bilanciatura perfetta, pareva più leggero e soprattutto maneggevolissimo.
Riposto il Perazzi nella fuciliera, ad Alberto si accese finalmente la nuova curiosità, quel fucile stavolta, gli aveva mosso un’irrefrenabile voglia di provare l’emozione della pedana; il tiro al piattello, disciplina che non aveva mai conosciuto fino a quel momento.
La scoperta del tiro a volo
Fu nel dopo cena, che raggiunto il nonno intento a meditare sul suo divano, davanti al camino del salone - camino ormai prossimo al lungo riposo della stagione calda - Alberto gli chiese lumi sullo sport del tiro a volo: sulle discipline, le varie specialità e sul tiro al volatile.
Il vecchio sorrise, aspettava da tempo questa domanda, ma senza darlo a vedere, questo momento era ora arrivato; quindi, non mostrò il suo vero piacere ed entusiasmo e gli chiese banalmente cosa volesse sapere.
La prima domanda verteva sul “quando” il nonno avesse iniziato a calcare le pedane.
La risposta venne facile; tutto era iniziato nella sua gioventù post-laurea, perché i primi stipendi gli diedero la possibilità di sparare in pedana, senza ricorrere alla famiglia; così arrivarono il nuovissimo MAP Perazzi SC1, studiato da una equipe in cui c’era l’olimpionico Mattarelli ed altri tecnici. Ricordava le prime eccellenti cartucce da tiro, tra cui le AL Trap per l’allenamento e poi le meravigliose MB Ball Trap color vinaccia per le gare, entrambe in cartone laccato, specifiche per il piattello fossa.
Le violacee MB Storno, molto simili, erano per il volatile minore, lo storno, infine le verdi Super Star in cartone e poco dopo le prime gialle MB Mach in plastica, che sui campi da tiro al piccione vincevano tutto.
I campi calcati dal nonno erano tanti, i suoi preferiti erano a Bologna: Casalecchio di Reno e Borgatella, quindi San Marino e anche Montecatini Terme.
Il nonno non mentiva mai, raccontò delle sue prime gare le pedane inizialmente non entusiasmanti poi dopo aver cambiato il calcio i suoi primi ottimi successi fino alle tante vittorie importanti.
Disse ad Alberto con soddisfazione anche delle tante proposte ricevute per sparare altre cartucce di prestigiose marche, come Maionchi, Clever, Winchester… ma diceva il nonno, che nulla gli dava la sicurezza e serenità di avere in canna una cartuccia della casa felsinea Baschieri e Pellagri, soprattutto in gara nel momento della verità, dove solo quelle gli davano la sicurezza assoluta.
Ora la curiosità nel giovane era salita a livelli incontenibili. Si avviò alla vetrina, la aprì e ne tolse il vecchio SC1, lo imbracciò, mentre anche il nonno alzatosi gli era giunto a fianco.
I due si passarono il fucile più e più volte, ma ora la voce non era più percepibile come in un film muto; solo il movimento delle labbra ed un delicato annuire, molti sorrisi, facevano presumere che il discorso li stesse infervorando entrambi e che qualche programma stesse prendendo forma.
Poco prima di mezzogiorno, Alberto uscì con la sua auto dal giardino della villa e rientrò circa all’una, l’ora del desinare in villa; sceso dall’auto, il ragazzo aprì il bagagliaio e aperto un box in cartone, ne trasse una luccicante scatola di cartucce, che portò con sé in casa.
Le mise su un mobile e guardò il nonno sorridendo, entrambi sorrisero, la complicità tra i due era evidente quanto il loro affettuoso condividere la passione per la caccia e molto altro della loro vita.
Terminato il pranzo e preso il caffè, il nonno, cui non era sfuggita la scatola di cartucce posta sul mobile, sollecitò il nipote a mostrargliela, erano cartucce “trap” da tiro al piattello, la grammatura era leggera, aprirono insieme la scatola e tolte alcune cartucce le osservarono insieme.
Il nonno fece notare ad Alberto la bellezza della cartuccia, il bossolo del nuovo tipo Gordon, nero con corazza esterna alta e nichelata, serigrafato in argento con la scritta Flash e la stellare, bella e perfetta.
Lui aveva seguito dalle riviste specializzate lo sviluppo dell’innovativo bossolo Gordon fin dall’inizio degli anni ’90, era un’idea rivoluzionaria che gli era piaciuta, conoscendo la balistica delle cartucce da caccia e da tiro, le promesse dell’innovazione erano molto intriganti.
Lo sviluppo del Gordon aveva portato alla luce l’idea di mettere un secondo ammortizzatore nel buscione del bossolo che assorbisse l’urto dato dall’esplosione della polvere e riducesse sia il rinculo che l’effetto di deformazione sui pallini.
I due guardavano le cartucce più prestigiose della casa bolognese con molta attenzione, stavolta fu il nonno a sorprendere Alberto, la proposta uscì tutta d’un fiato, con naturalezza… “Prendiamo il Perazzi, le andiamo a provare!”.
L'emozione della prima volta in pedana
Mentre Alberto guidava il Discovery del nonno, la curiosità lo divorava e lo subissò di domande, sulle impostazioni in pedana, sui lanci angolati, sulle regole di comportamento, la risposta del nonno fu che avrebbe sparato prima lui, per permettere al nipote di capire ed apprendere le basi più importanti.
Il campo di tiro era bello, nella sua cornice di vegetazione sui lati e con un cielo terso ed azzurro davanti alla buca da cui sarebbero usciti i bersagli di bitume.
Era tutto molto pulito ed ordinato, tra la gente presente, educazione e rispetto ovunque, tiratori e spettatori parlavano con tono moderato e voce bassa, solo le detonazioni delle fucilate sui campi di tiro spiccavano sonoramente.
Il nonno andò allo sportello dello stand e prenotò due pedane successive, quindi chiamato Alberto, aprì la valigetta e montò il vecchio MAP, Alberto osservava con attenzione l’operazione; il nonno allineato il manicotto delle canne sulla cerniera della bascula lo inserì tenendo spostando la coda della chiave d’apertura sulla destra, le canne entrarono nella loro sede con un rumore sonoro, l’astina venne applicata e l’arma fu di nuovo intera. Il nonno a questo punto disse al ragazzo di osservare attentamente ogni suo gesto e movimento, perché poi li avrebbe dovuti fare a sua volta.
Quindi indossò il gilet da tiro, versò nella tasca destra 25 cartucce e una quindicina nella tasca sinistra e si avviò in pedana insieme ad altri cinque tiratori mentre Alberto dal margine del campo lo seguiva con attenzione.
Tutti si portarono sulle pedane di tiro, ognuno a quella assegnata, il nonno col fucile aperto sulla spalla andò alla terza, quella centrale, si orientò leggermente a destra appoggiando le canne del fucile sulla pedana di gomma quadrata; quindi, chiuse il fucile ancora scarico e fece un paio di prove di imbracciata e puntamento, poi riaperta l’arma ne posò la punta delle canne sul tappetino e rimase immobile, in attesa.
Un tiratore era salito sulla seggiola sopraelevata del direttore di tiro, lesse i nomi dei tiratori con la relativa posizione e disse che chi volesse farlo, poteva sfocare. Dalla prima pedana in ordine quasi tutti i tiratori caricarono a turno l’arma sparando nel vuoto davanti a loro; uno o due colpi, lo fece anche il nonno, che “sfocò” solo la prima canna.
La pedana ebbe inizio, i tiratori chiusa l’arma sparavano rapidamente al proprio bersaglio, che al comando vocale partiva dalla buca in cemento quindici metri, davanti a loro; Alberto capì subito che le direzioni possibili erano sostanzialmente tre, sinistra, centrale e destra e che il fucile si puntava sulla linea bianca verniciata sulla buca, davanti ad ogni pedana.
Ora era il turno del nonno, appena ebbe sparato il tiratore alla sua sinistra, il vecchio drago della pedana, con naturalezza mise nel Perazzi le due cartucce Flash, chiuse l’arma leggermente puntata in avanti in modo progressivo, delicatamente senza sbattere le due parti metalliche; quindi, imbracciata puntò sul testimone bianco e chiamò subito il “pull”.
Alberto esattamente dietro di lui aveva seguito la sequenza di tutte le operazioni, memorizzandole bene.
Dalla buca il piattello schizzò in cielo verso destra, il bersaglio apparve nitido di un bel colore arancione, le canne dell’eccellente sovrapposto da tiro allineate all’occhio, lo raggiunsero e la fucilata lo polverizzò in aria, mentre la borra se ne andava da un lato.
Il nonno subito aprì l’arma e orientata la bascula verso la sua destra, fece cadere il bossolo espulso dall’ejector nel cesto. Seguirono altri 24 bersagli. Il nonno fece tre zeri, li fece sui piattelli alti, quelli che all’uscita nella loro traiettoria, salivano rapidamente, ma fece meglio di altri suoi compagni di pedana.
Atteso il nonno fuori dall’area di tiro, Alberto lo raggiunse, il vecchio aveva un sorriso splendido, era contento della sua performance, dopo anni di assenza dai campi di tiro.
Rientrati nello stand, il vecchio disse al nipote di prepararsi, Alberto visibilmente emozionato, indossò il suo gilet e come aveva fatto lui, versò 25 cartucce Flash nella tasca destra e 15 nella sinistra, il nonno ne mise però nella tasca sinistra, della seconda canna, altre cinque, sorridendo.
Col Perazzi aperto sulla spalla, il trepidante giovanotto si avviò in pedana, sempre sulla terza, mentre il nonno, parlava al direttore di tiro, che annuì e lo raggiunse, posizionandosi alle sue spalle… in qualità di istruttore.
Alberto era pronto, posizionato con cura in pedana, il fucile aperto e posato. Il nonno alle sue spalle.
Il suo battesimo tiravolistico era arrivato, trovandolo molto emozionato.
Il nonno gli disse che non occorreva sfocare perché l’arma aveva appena sparato, quindi lo fecero altri tiratori, mentre il secondo tiratore sbossolava, ad un cenno Alberto chiuse il Perazzi delicatamente tenendolo puntato in avanti, imbracciò l’arma e trovò la linea bianca sulla buca, vi fermò le canne e chiamò il pull. Una scia arancio prese luce in direzione destra ed alta, le canne agganciarono la testa colorata della scia, la oltrepassarono senza fermarsi, mentre l’indice premeva il grilletto.
La detonazione della Flash fu moderata, forse meno rumorosa di quanto il giovane si aspettava, il disco di bitume arancione andò in polvere, lo ridestò la voce del nonno che gli disse di sbossolare e posare le canne… facendo seguire alle istruzioni un sommesso: -“Bravo!”-.
L’emozione stava salendo, appena liberatasi la pedana successiva, i due protagonisti vi presero posizione e tutto ricominciò da capo; i piattelli scomparivano in nuvolette nere, il nonno provava una soddisfazione infinita e guardava quel ragazzo figlio di suo figlio, con ammirazione, emozione ed infinito affetto, mentre Alberto pur se ormai visibilmente concentrato su ogni gesto, sentiva quella presenza famigliare splendida e rassicurante dietro di sé.
Il giovane fece cinque zeri, il nonno era visibilmente soddisfatto, la felicità era evidente in entrambi; esordire in pedana alla fossa olimpica con un 20/25 per un neo tiratore, pur se ottimo colpitore a caccia, era una soddisfazione davvero grande… il gioco era iniziato e il destino segnato, sarebbero venute tante altre pedane e ogni gesto sarebbe stato perfezionato… perché ora l’obbiettivo era l’emulazione delle capacità giovanili del proprio “istruttore”…quel fucile, quella linea di sangue e quella forte passione, iniziati tanti anni prima, ora, era certo, avrebbe avuto un seguito ed un avvenire!
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